9 ottobre 2013

GIUNTA MILANESE. E DOPO L’EMERGENZA?


A metà quasi del mandato da più parti, e non solo da ArcipelagoMilano, si chiede alla Giunta di fare un bilancio della sua attività, di quella svolta e di quella prevista. Volendo, come si dice, dare a Cesare quel che è di Cesare, non si può trascurare che dal suo insediamento a oggi l’amministrazione comunale abbia vissuto passando da un’emergenza all’altra, sopratutto in materia di bilanci consuntivi e di previsione che oscillavano dalla scoperta di buchi ricevuti in eredità alla riduzione drastica dei trasferimenti dallo Stato: insomma, pochi soldi per far fronte a problemi crescenti soprattutto in materia di assistenza sociale e per mantenere comunque un livello decente di servizi alla città.

Non è detto che questa emergenza finisca, anzi tutto lascia prevedere che la situazione tenda a stabilizzarsi e che, immutate le condizioni al contorno, l’emergenza diventi norma. Dunque non più emergenza ma il pensiero va comunque volto al futuro. Questa difficile situazione presente sembra aver assorbito la parte più consistente del pensiero amministrativo lasciando poco spazio alla progettualità per il futuro della città. Progettare il futuro vuol dire avere la visione, programmare investimenti materiali e immateriali, predisporre gli strumenti capaci di dar corpo alle idee, gestire il consenso. Sulla visione ci sarebbe molto, forse tutto da dire, a cominciare dal significato della parola, ma il tema è tanto vasto che merita una riflessione a sé stante: la faremo. Veniamo agli investimenti: materiali e immateriali.

Sul prim01editoriale34o tipo di investimenti non c’è molto da dire viste le condizioni di bilancio ma qualche migliore indicazione sui criteri di scelta non avrebbe guastato. Sui secondi, quelli immateriali, un discorso si può fare perché in buona sostanza riguarda le “riforme”, in particolare quelle che a suo tempo Ernesto Rossi chiamava “le riforme senza spese”, quelle che non costavano nulla e non pesavano sui bilanci ma che facevano comunque fare progressi alla società. Per Milano la prima di queste è la riforma della burocrazia. Speravo che la nuova Giunta aggredisse questo problema fin dal suo insediamento ma non è stato così.

La questione di fondo è persino banale: sono le deleghe assessorili che devono tenere conto della pianta organica o la pianta organica che deve adeguarsi alle deleghe assessorili? Sappiamo che cambiare la pianta organica è un’impresa disperata, visto il contratto del pubblico impiego e la difesa strenuamente corporativa dei sindacati. Oggi invece si ha l’impressione che ognuno vada per la propria strada e certamente vi sono assessori che hanno troppi diversi referenti nella struttura e viceversa. Sbaglierò ma da qui nasce la lentezza della funzione amministrativa che tanto irrita i cittadini.

A margine bisognerebbe pensare ad avviare anche a Milano un progetto come il Notus (New organisation transparent uniform system) di Venezia che consente ai cittadini di sapere chi fa che cosa in Comune. Di altre riforme si dovrà parlare, molte, sempre avendo ben chiaro la funzione strumentale della burocrazia – lo strumento che dà corpo alle idee – che troppo spesso interpreta il suo ruolo capovolgendo i rapporti: non a servizio della città ma la città al suo servizio.

Ultimo ma solo in ordine di esposizione il problema del consenso. Alla base del consenso ci sta la partecipazione e qui chiariamo subito un equivoco: partecipare non vuol dire essere informati delle decisioni prese e avere solo un qualche margine di dibattito ma essere presenti durante tutto il processo decisionale e soprattutto essere d’accordo sulla natura dei problemi e svolgere un ruolo attivo nell’individuarne le possibili soluzioni. Non mi si venga a raccontare la balla che si cadrebbe in un assemblearismo paralizzante: è vero il contrario. Se la partecipazione è ben organizzata diventa la strada più veloce per arrivare in fondo. L’esempio del Velodromo Vigorelli insegna qualcosa: la realtà del buon senso diffuso civico.

Luca Beltrami Gadola

 

 

 

 

 

 

 



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