9 ottobre 2013

FORZA GENTILE, MA CHE FORZA SIA


L’ossimoro che ha accompagnato Pisapia, nel corso di un’entusiasmante campagna elettorale, racchiude in sé un’idea che ha saputo convincere i milanesi, consapevoli che per cambiare davvero il vento fossero necessarie autorevolezza e determinazione e, al tempo stesso, disponibilità e rispetto. La forza è forza delle idee, forza nel perseguirle, forza per riuscire a modificare lo stato delle cose, forza nel perseverare per ottenere quanto promesso. La gentilezza è questione di metodo e attiene al rispetto delle persone, all’avere considerazione delle loro esigenze, all’operare senza mai perdere di vista l’altro da sé.

02grandi34fbQuesti due concetti hanno suggellato e contraddistinto la vittoria di Pisapia: in un’epoca in cui sembra che debba sempre avere la meglio chi urla più forte, la determinazione delle idee e la pacatezza dei toni devono essere apparsi, ai tanti che lo hanno votato, come garanzia di serietà e di cambiamento.

Ora, arrivati (per continuare nella similitudine con il linguaggio marinaro usato da Giulia Mattace Raso nel suo articolo “Pisapia&co in mezzo al guado“) al giro di boa della prima metà del mandato, è tempo di bilanci e di autocritica. Perché solo con la cognizione di quanto è stato fatto e di quanto ancora c’è da fare potremo prendere atto dei risultati ottenuti e di quelli ancora da traguardare: anche a costo di difficili cambi di rotta.

Non mi soffermerò su quanto di buono è stato fatto e si sta facendo ma, a costo di apparire impietosa (anche con me stessa, dato che, in quanto parte di questa amministrazione, dovrò rendere conto del mio operato ai miei elettori), vorrei porre l’attenzione su quello che non siamo riusciti ancora a mettere in atto e che i cittadini chiedono a gran voce. Parlo della necessità di modificare i rapporti di forza tra chi governa la città e la macchina amministrativa, della capacità della politica di mettere realmente a frutto, in coerenza con le proprie indicazioni, il lavoro (spesso pregevole) dei funzionari e dei tecnici del Comune.

Che la burocrazia, con le sue pastoie farraginose, con l’immobilismo che la caratterizza da sempre, con gli eccessi di garantismo che ne tutelano i suoi appartenenti, sia spesso un serio ostacolo a ogni tentativo di reale cambiamento, è un fatto purtroppo assodato: ma non per questo deve essere anche immutabile.

Quando parlo di burocrazia, intendo non solo quella con cui ogni cittadino deve misurarsi ogni volta che deve svolgere una pratica, richiedere un documento, un accesso agli atti, un permesso, un’informazione, ecc.: qui siamo all’ABC della questione, quella di immediato riscontro, che spesso produce nella gente comune la sensazione che la Pubblica Amministrazione sia una sorta di nemico da combattere ad armi impari. Intendo anche quella con cui gli eletti in una Pubblica Amministrazione devono confrontarsi quotidianamente per portare a termine gli impegni presi con coloro che gli hanno dato mandato di rappresentatività.

Oggi si fa molto parlare di semplificazione: ma la semplificazione deve andare di pari passo con parole quali assunzione di responsabilità, efficienza, rapidità, chiarezza. Purtroppo oggi non è ancora così ed è in questo senso che la “forza gentile” dovrebbe lavorare nei prossimi mesi: mettendo i funzionari, i dirigenti, gli impiegati, gli uffici al reale servizio della città. Senza sprechi di energie, senza concessioni a clientelismi e interessi privati, senza ambiguità.

Per farlo bisognerebbe porre limiti di tempo alle nomine dei direttori centrali che non dovranno occupare lo stesso posto per più di tre o quattro anni consecutivi; quindi sarebbe necessario che in ogni settore venga nominato (che sia il direttore o un suo diretto sottoposto poca importa), un responsabile e referente di tutto quanto avviene e attiene al settore stesso. Al momento non è così.

Ecco di seguito due esempi tra tanti. Il Demanio del Comune, avendo nel corso degli anni dato in carico ad altri settori (cultura, scuola, servizi sociali, politiche del lavoro, ecc.) alcune delle sue proprietà, si ritiene spesso esonerato da qualsiasi responsabilità per la loro gestione (o non gestione), scaricando su altri competenze che invece dovrebbero essere sue. Per intenderci: se il Demanio è proprietario di un immobile, è al Demanio, e ai suoi funzionari, che deve fare capo la sua gestione, a prescindere dai progetti (più o meno attuati) sulla destinazione d’uso di quel certo immobile. Ed è il Demanio che deve avere contezza dello stato di tutte le sue proprietà. Succede invece che uno stesso immobile comunale, proprio perché in carico a diversi settori (e già scoprire a quali è sovente arduo e complicato), ciascuno dei quali agisce (o meglio non agisce) in maniera non coordinata con la proprietà, divenga un luogo non valorizzato e fatiscente. Mi riferisco, per citare uno dei casi, al palazzo ex Collegio Calchi Taeggi di corso di Porta Vigentina. Lo stesso discorso vale per ogni altro settore.

Quando, nel 1999, durante l’amministrazione Albertini, le zone di Milano, a seguito della Riforma Gallera, sono passate da venti a nove, è accaduto che il verde pubblico dell’ultimo tratto (pedonale) di corso Sempione, pur essendo divenuto parte della Zona 1, rimanesse in carico per quanto riguardava la manutenzione alla Zona 8. Facile immaginare come, in una simile situazione, quell’area (già di per sé difficile per via della tipologia di fruizione, legata all’utenza dei numerosi locali pubblici presenti) sia diventata una sorta di terra di nessuno del cui degrado sembra non esista alcun responsabile.

A tutto ciò è la politica che dovrà porre rimedio. E quanto prima sapremo mettere mano a un apparato burocratico che si autodifende, forte della sua intoccabilità, tanto prima potremo raccogliere il frutto dell’impegno di molti di noi e mantenere le promesse fatte in campagna elettorale.

Certo, per far questo si dovrà mettere in atto una trattativa serrata con i sindacati, che non saranno certo disposti ad accettare senza batter ciglio trasferimenti all’interno dei vari settori, cambi di incarichi e di ruoli, nuovi contratti; e, forse, si dovrà pure modificare statuto e regolamento del Comune.

Come ho già detto, ne varrebbe la pena. Proprio in nome di quella forza gentile che ancora può, e deve, riuscire a dimostrare tutta la sua efficacia.

 

Elena Grandi

 

 

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti