9 ottobre 2013
DIEGO FUSARO
ESSERE SENZA TEMPO
Bombiani editore, Milano
pag. 411, euro 12,90
In una lunga seduta spiritica, Diego Fusaro, appena trentenne, ricercatore del San Raffaele di Milano, invoca filosofi, storici, letterati dei secoli scorsi per documentarci, con un’indagine pluristratificata e un excursus dettagliato, a volte ripetitivo, della grande malattia del secolo. È la stessa sindrome che colpisce il topo di Kafka che corre a perdifiato in un moto di accelerazione inarrestabile, votato alla sconfitta, tra le fauci del gatto della nostra epoca. Sedotti dal fascino titanico di questa corsa, noi topi del ventunesimo ci avventiamo verso un traguardo che si sposta continuamente, come il miraggio di un orizzonte irraggiungibile e con una nota ancora più drammatica rispetto alla felicità pascoliana, che appare al tramonto e “con lieve stridore discende al silenzio infinito”.
La fretta nichilista e la distrazione sono le terribili malattie dello spirito post-moderno, dice l’autore. “Non abbiamo mai tempo sufficiente per tutto quello che dovremmo o vorremmo fare, ci sentiamo incalzati da una schiera di impegni e di eventi, che finiscono per farci sentire costantemente in ritardo e per farci vivere con il fiato corto”. Questa schiavitù del tempo troppo rapido che il mondo ci impone, la fobia che non dà pace all’uomo, è diventata la principale sensazione del quotidiano, che genera ansia e depressione.
Lo studio della genesi di tale ansia ci riporta al XVIII/XIX secolo, dopo la Rivoluzione industriale e la rivoluzione Francese. Da quel momento, dominò la passione per il futuro, in cui si configura il progresso, e con essa la fretta di raggiungerlo il prima possibile, nella persuasione che la storia stessa fosse impaziente di pervenire al proprio traguardo. La convinzione che si diffuse fu che la verità risiedesse nel domani e che occorresse velocizzare il tempo. In questo processo, la fabbrica capitalistica giocò un ruolo decisivo: l’uomo fu costretto a conformare i propri ritmi biologici con quelli accelerati della macchina, abbreviando gli intervalli che separano il presente dal futuro. E ci siamo riusciti, secondo Fusaro, al punto che l’accelerazione dell’epoca post-moderna non è più rivolta verso il futuro, ma ha come unica dimensione temporale il presente stesso, in un’eclissi generale della speranza del domani.
Il pessimismo sconcertante raggiunto dall’autore, estremizzato nel concetto di desertificazione delle aspettative e di eternizzazione del presente, è da considerarsi un’offesa per la scienza e per il progresso, che le scoperte tecnologiche alimentano, come l’esplorazione spaziale, la ricerca di nuove fonti di energia, la riprogrammazione cellulare, la robotica. L’incantesimo temporale nel quale siamo sospesi è, a parer mio, un wormhole che ci porterà a uno stravolgimento evolutivo e tecnologico paragonabile a nuova creazione, in cui homo sapiens e homo technologicus si dovranno confrontare. Questa deve diventare la nostra consapevolezza.
A conclusione della diagnosi del male del nostro tempo, il dottor Diego Fusaro soluzioni non ne dà, nemmeno nelle 46 pagine di bibliografia, che rappresentano l’undici per cento del volume dell’opera. E ci chiediamo se e dove, tra le dotte ma un po’ soffocanti citazioni, abbia declinato qualcosa del suo pensiero. L’unica citazione mancante è quella dalla mia bisnonna, morta nel mese di gennaio del 1915 dopo aver lavato i panni al gelido lavatoio pubblico. “Se avessi avuto una lavatrice …” disse, e spirò.
Cristina Bellon
questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero