9 ottobre 2013

musica – IL QUARTETTO ALLA SCALA


 

IL QUARTETTO ALLA SCALA

Ci sono dei casi in cui è particolarmente difficile raccontare e commentare un concerto che non ci è piaciuto; capita clamorosamente questa settimana a proposito del concerto inaugurale della stagione della Società del Quartetto che si è tenuto martedì primo ottobre alla Scala, diretto da Daniele Gatti con la partecipazione del baritono Matthias Goerne.

musica_34Difficile innanzitutto perché si è trattato di un concerto molto importante e atteso, che celebrava un secolo e mezzo dalla nascita della nobilissima istituzione milanese (una Società che esiste dal 1864, praticamente la stessa età della Nazione, che non ha mai saltato una stagione se non le due tragiche del 1944 e 1945), nella sala del Piermarini piena come raramente accade, un pubblico elegante quasi da 7 dicembre e all’apparenza colto e competente, sul palcoscenico l’orchestra Mahler (una delle figlie predilette di Claudio Abbado!) e un celeberrimo baritono, soprattutto un direttore di cui si dice essere uno dei possibili candidati al ruolo di direttore artistico del Teatro. Ma ancor più difficile per lo straordinario successo di pubblico manifestatosi alla fine del concerto con lunghi applausi e urla di “bravo” più da stadio che da teatro.

Insomma un grande concerto, per giunta con un programma intrigantissimo, tutto giocato nel cuore tedesco-austriaco-boemo dell’Europa e del secolo d’oro della musica romantica, con i cinque Rückert Lieder di Mahler e la terza sinfonia di Beethoven (l’Eroica), eseguiti entrambi per la prima volta a Vienna, i primi nel 1905 e l’altra esattamente cento anni prima, nel 1805; in apertura c’era in più l’Idillio di Sigfrido, gioiello wagneriano scritto per piccola orchestra nel 1870, una delle rarissime musiche sinfoniche del grande compositore. Serata grandiosa, dunque, degna della “più antica Società di concerti di Milano” che – ricordiamo – pubblicò due splendidi volumi in occasione del 100° e del 125° anniversario, introdotti dall’indimenticabile Giulio Confalonieri, e che ora ne ha in allestimento uno nuovo per il 150°.

Come si fa allora a dire che non è stato un buon concerto? Abbiamo interrogato molte persone alla fine, perché facevamo fatica a capire questa discrasia fra l’entusiasmo di tanti e il nostro diverso sentire, e abbiamo ascoltato giudizi netti e opposti; soddisfazione totale di alcuni, delusione cocente di altri, senza vie di mezzo. Non è proprio una novità, capita, ma in questa occasione così “speciale” ci è sembrato paradossale, ci sarebbe stata bene una grande discussione con voto finale!

La prima nostra sensazione è che non si sia creato il necessario feeling fra direttore e orchestra; fin dal pezzo introduttivo, nella commossa breve opera di Wagner – che fu scritta per il risveglio natalizio della sua amata Cosima nel giorno del trentatreesimo compleanno (la figlia di Liszt era nata a Como la vigilia di Natale del 1837) – mancava proprio la commozione, e soprattutto la tenerezza del cinquantasettenne Richard che proprio in quei giorni stava scrivendo la seconda giornata dell’Anello del Nibelungo e dunque descrivendo l’innamoramento di Sigfrido e Brunilde (e aveva chiamato Siegfried il terzo figlio appena avuto da lei!). Un pezzo eseguito sì delicatamente, giustamente un po’ sottotono, ma senza emozione e senza passione.

Subito dopo il meraviglioso Mahler di cui dobbiamo dire che Goerne è stato sicuramente un ottimo interprete (peccato che, in una serata così, si sia presentato senza frac e con il collo della camicia sbottonata!) ma anche che l’orchestra non c’era, ha offerto un timido accompagnamento al baritono, totalmente privo del pathos e delle vibrazioni che sono alla base della liederistica mahleriana; non era più una composizione per “voce e orchestra”, ma piuttosto per “voce sola” con un delicato sottofondo orchestrale.

Non meglio è accaduto nella seconda parte, con l’Eroica beethoveniana che di Beethoven aveva ahimè poco, certamente non quel sotterraneo ed essenziale filo conduttore che fa della Terza la prima grande Sinfonia posthaydniana e dunque la prima sinfonia romantica, con la quale si apre il secolo nuovo. Senza quel filo conduttore l’Eroica diventa un susseguirsi di episodi musicali scarsamente tenuti insieme dalla tonalità e dal ritmo, ma riesce a “seguire il pensiero che sta lavorando” (Schuré). Nella Marcia Funebre mancava il senso della grandezza dell’Eroe e della tragedia della sua morte. Mancavano, sopratutto, quegli “ideali di universalismo umanitario e di redenzione spirituale (il finale!) raggiungibile attraverso la sacra fiamma dell’arte che fanno di Beethoven il più grande figlio di Kant, di Schiller e della Rivoluzione” che Carli Ballola indica come il senso profondo della Sinfonia. A noi è sembrata una lettura sostanzialmente distratta e poco curata nei dettagli, che non ha lasciato il segno.

Ma, come dicevamo, il successo è stato grandissimo. Vallo a capire…

P.S. Intanto, mentre “andiamo in stampa”, per la terza volta in pochi anni (era già successo almeno nell’agosto del 2009 e nel marzo del 2012) su Repubblica compare un “attacco” al presidente della Società del Quartetto, nel suo diverso ruolo di presidente di Casa Verdi, accusato di essere mal tollerato sia dagli anziani artisti suoi amministrati che da alcuni colleghi del Consiglio di Amministrazione (secondo un consigliere della Provincia di Milano sarebbe “incollato a quella sedia da ben 32 anni”!). L’anno scorso gli avevamo offerto queste pagine per dare pubbliche risposte alle accuse, ma l’avvocato Magnocavallo pare che preferisca il silenzio. Ovviamente gli rinnoviamo l’invito.

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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