2 ottobre 2013

PD: CIVATI NON È CAPPUCCETTO ROSSO


Se dovessi spiegare, a qualcuno che non ha mai avuto occasione di ascoltarlo, come sarà il PD di Pippo Civati, gli direi che sarà un partito ospitale, trasparente e razionale. Un partito aperto alle risorse più vitali e dinamiche della nostra società, capace di attrarre e liberare energie. Un partito lontano anni luce dal motto “meno siamo, meglio stiamo”, motto che sembra spesso caratterizzare un gruppo dirigente molto preoccupato dal rischio di perdere il controllo assoluto di questo “giocattolo” così prezioso e munifico. Un partito capace di rispondere con puntualità, visione e strategia alle sfide che la cronaca, e talvolta la storia, gli pongono. Un partito dei suoi iscritti e dei suoi elettori, non dei suoi dirigenti. Un partito in cui sia premiata la competenza e non la fedeltà. Un partito capace di indicare una direzione al Paese e non di seguirne i vizi più antichi.

06bertole33FBGli parlerei, così, delle doparie cioè di un formidabile strumento di crescita, di una pratica sana e virtuosa. Le doparie sono ciò che avviene dopo. Dopo le primarie, dopo che si è scelto, votando. Ed entrano in gioco quando si devono prendere delle decisioni. Le doparie, ideate da Raffaele Calabretta, ricercatore presso l’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Cnr, sono uno strumento di consultazione tra organi dirigenti di un partito e chi lo ha votato. Uno strumento di consultazione non quotidiano, certo, perché la politica è anche delega, ma una modalità che si attiva laddove ci siano decisioni delicate e importanti da assumere. Il testamento biologico, la TAV in val di Susa, il matrimonio per tutti, o anche la scelta di Franco Marini come candidato alla presidenza della Repubblica.

Racconterei delle doparie, o anche dei nuovi progetti di piattaforme per mettere in rete eletti ed elettori, perchè si tratta di progetti che hanno un denominatore comune dal quale non si può più prescindere: la partecipazione. E la partecipazione è di un partito che non ha paura discutere con il proprio elettorato di riferimento, di spiegare le proprie scelte, di coinvolgere nuovi attori nella discussione, di cambiare i propri progetti. Perché cambiare i propri progetti non è sintomo di debolezza, ma di apertura, inclusione. Pippo Civati è stato tra i primi a capirlo, costruendo un modello di rete per la condivisione e l’elaborazione delle sue proposte politiche. Ha collaborato con una genìa nuova di elettori: non iscritti al PD, a volte nemmeno elettori del PD, ma interessati a trovare soluzioni a tematiche concrete come il consumo di suolo, l’uso delle energie rinnovabili, il recupero del patrimonio immobiliare pubblico.

Ha indicato altre scelte e altri percorsi, costruendo in maniera razionale, e già da anni, l’alternativa a un gruppo dirigente che, dal 2009 a oggi non ha saputo elaborare una strategia, costruire una visione; che ha ridicolizzato le istanze del M5S, senza capire che erano ampiamente condivise dal nostro elettorato. Che pochi mesi dopo è diventato il loro elettorato. Un gruppo dirigente che, dalle elezioni in poi, è stato completamente assediato dagli eventi, non più capace di instaurare e mantenere una relazione con i cittadini, tanto da essere percepito come autoreferenziale, chiuso e distante dai bisogni espressi dalla società civile.

Pippo Civati ha la capacità di offrire alla comunità un progetto attorno al quale essa possa innescare efficacemente la propria identità. Un progetto nel quale sappia nuovamente riconoscersi e che sia partecipato e condiviso. Perché è necessario restituire al nostro elettorato identità e visione forte, come condizione prioritaria per chiedergli di partecipare a un progetto. Civati lo può fare, anzi in parte lo ha già fatto, perché è stato capace di aprire nuovi ambiti di dialogo e canali di comunicazione, perché è stato capace di lavorare sul territorio. Il suo periplo dell’Italia, in occasione del 150ennale dell’Unità, è stato un diario ragionato delle occasioni perdute e delle chanches ancora possibili.

Il momento di farlo è adesso, e mi si perdonerà se uso un avverbio così caro a uno degli altri candidati alla segreteria. Qualunque esito avrà, questo congresso ci restituirà una dimensione progettuale latitante da anni. Mi piacerebbe poter dire che il fatto stesso di farlo ci farà uscire dalla palude degli ultimi mesi (e volevo scrivere anni). Facciamolo, però. Senza lasciarci fermare da chi, davanti alla prevedibilissima crisi politica di oggi, consiglia di aspettare ancora. Mettiamo in sicurezza il Paese, approvando la legge di stabilità e la legge elettorale. Diamoci un segretario, un candidato premier e andiamo al voto. Senza paura.

 

Lamberto Bertolè

 



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