2 ottobre 2013

MUSEI. ANCHE UNA VISITA PUÒ ESSERE SGRADEVOLE


Ho rimandato molte volte l’idea di esprimere la mia opinione sulla nuova sala ipogea del Museo Egizio di Torino trattenuto da una sgradevole impressione ricevuta alla mia visita. Dopo la sua inaugurazione e la pubblicità della televisione e dei giornali che hanno dato grande visibilità all’evento mi era parso doveroso visitare questo nuovo lavoro in un momento di crisi, alla ricerca di ottimismo e di nuove idee. Mi sono trattenuto dallo scrivere dopo la visita per lo sconforto che mi aveva assorbito e per quella specie di inganno in cui ero caduto, sostenuto dal rispetto e ammirazione che ho sempre nutrito per Torino e la qualità del lavoro nei diversi settori della cultura.

07piva33FBHo rotto l’indugio a seguito di una telefonata scoraggiante di due grandi studiose militanti che, dopo la visita al museo, mi hanno telefonato per essere da me confortate su di un loro giudizio da poco elaborato che le costringeva a un forte dubbio da cui volevano, credo, essere sollevate. Il loro giudizio era così negativo da risvegliare in me un sentimento di partecipazione allo sconforto che non mi trovava più solitario critico negativo di un intervento museografico ma in compagnia di due grandi esperte di museologia applicata al mondo dell’archeologia. Mi volevano, in altri termini comunicare che non erano riuscite a trovare il senso di un intervento che avrebbe dovuto riassumere il risultato di una ricerca attuale sui reperti esposti nel nuovo spazio espositivo.

Le signore mi hanno spinto a scrivere forse sapendo quanto ami la ricerca museografica e come non abbia mai disgiunto il problema della conoscenza che, nei musei, collega i reperti allo spazio. Il trasferimento ad altri della conoscenza avviene anche attraverso l’elaborazione dello spazio espositivo e non solo attraverso i reperti conducendo per mano, nello spazio, il visitatore lungo una strada difficile fatta di segni e sollecitazioni ai più sconosciuti.

Ci domandiamo cosa possa servire un soffitto riflettente nero in cui ondeggiano le deformazioni di tutto ciò che viene riflesso dal piano di calpestio. Il percorso attraverso quattromila anni di storia risulta ambiguo come l’inizio e la fine che avviene in vetrine dove la disposizione dei reperti non sollecita priorità né suggerisce un racconto che raccordi nella storia avvenimenti pubblici con i momenti privati.

Le informazioni lasciano in sospeso spesso i lacerti della storia che viene raccontata lungo un percorso libero e confuso che costringe il lettore a frantumare l’insieme per raccogliere gli elementi frammentari e più semplici. Le didascalie vanno cercate in alto, in basso, a desta, a sinistra senza apparenti regole o sistemi di appoggio alla nostra ignoranza e desiderio di sapere.

Quale ricerca, in campo museografico, ha portato avanti l’allestimento di questa grande sala ipogea? Quali sono stati gli accorgimenti tecnologici adottati in via sperimentale (luci, sicurezza, materiali, conservazione …)? Quali suggestioni potremmo portare con noi e ricordare come sforzo innovativo e nuovo punto di arrivo? Ci si augura che quanto abbiamo visto sia provvisorio e suscettibile di ampie modifiche.

A poche decine di metri dal Museo Egizio, a Palazzo Carignano è visitabile il Museo Nazionale del Risorgimento Italiano. La straordinaria storia di come sia stata raggiunta l’Unità d’Italia è documentata in modo esemplare. Gli storici forse avranno sicuramente qualche appunto da fare ma come museografo sono a mio agio perché capisco e scopro cose che non so. Molte situazioni che non conosco mi rallegrano e la fatica se ne va lasciando spazio alla soddisfazione di imparare. Ogni documento è al suo posto tanto che lo spazio preesistente sembra non abbia fatto fatica a ricevere e ad ambientare documenti di ogni genere, splendidi quadri, ritratti, manoscritti, proclami, bandiere. Il tempo passa anche assaporando filmati ben composti con commenti sobri. Le informazioni non lasciano dubbi.

La Camera dei Deputati del parlamento subalpino merita una osservazione ancora più lenta e attenta: forse è il momento di rivedere i volti seduti al loro posto, quelli dei ritratti appena visti in posa composta con baffi e barba, eleganti e determinati. Ecco, mi dico, un museo dove il museografo e il museologo non hanno voluto apparire come protagonisti per far parlare di sé, cerco i loro nomi che non trovo al primo colpo e abbandono la ricerca perché è più importante ricordare un museo che i nomi di chi lo ha creato.

 

Antonio Piva

 



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