25 settembre 2013

CARO MAROSSI, QUESTO È IL MIO PD


Gentilissimo Direttore, ho letto l’articolo di Giacomo Marossi dell’11 settembre, ne condivido molti passaggi, provo a portare anche il mio punto di vista. Anche io voglio un nuovo Pd. Non mi accontento di quello in cui ho vissuto e che mi ha pur dato molto, e partendo dall’esperienza di questi cinque anni di frequentazione e militanza credo che ciò possa venire appoggiando e sostenendo Gianni Cuperlo. Il mio impegno diretto nasce nel 2007, con il Pd. Appassionata di politica fin dal liceo (c’era già Berlusconi da alcuni anni), ne ho fatto la materia dei miei studi universitari e oggi sono Consigliera Comunale a Milano.

06buscemiFBDa sempre di sinistra, votavo Ds, con simpatie per l’approccio dei Radicali sui diritti e sui temi etici. Sono una “nativa” come si usa dire, e non è né un merito né un demerito, ma uno stato di fatto. Il tema della “natività” ha preso infatti una brutta piega, come se chi è arrivato oggi, da due anni o da quattro avesse in sé un diritto in più rispetto a chi, per anni, ha fatto politica.

“Avevo un sogno, ed era il Pd” (piccola cit. deformata da Il Gladiatore di R. Scott). Sono sempre più convinta che occorra un partito strutturato, radicato, con una cultura politica pronta ad affrontare un nuovo ciclo dopo vent’anni di liberismo nel mondo e altrettanti di Berlusconismo (forma degenerata e deteriore del primo) in Italia. Un partito grande, in grado di scrivere una nuova stagione rispetto a quel deterioramento del concetto stesso di democrazia che viviamo.

Questo partito era presente anche nelle tesi di Bersani, prima nel suo confronto con Franceschini e poi con Renzi. Questo pezzo di cammino non è ancora venuto, incalzato dai tempi a volte stretti e da logiche correntizie nel senso deteriore, e cioè di luoghi non dell’elaborazione ma spesso solo ed esclusivamente del posizionamento.

L’assemblea di sabato, come il voto sulla Presidenza della Repubblica (fatto ben più grave) con il “maciullamento” di Prodi e Marini ne sono l’esempio. C’è una irresponsabilità di un bel pezzo della classe dirigente che non coglie i mutamenti, che ha paura di prendere atto che una nuova fase è iniziata a prescindere da chi vinca, che ha sofferto nell’ascoltare Cuperlo, Renzi, Civati, che sono nei fatti i nuovi protagonisti  della scena e che spasmodicamente tenta di ritagliarsi uno spazio non attraverso la politica. Non credo a un disegno organico, non credo ai “grandi vecchi”, credo di più a una convergenza di interessi non collettivi, ma ahimè personali. Occorre subito il Congresso e vanno emarginati coloro che non vogliono il confronto libero di idee. Senza giochini ulteriori. Siamo forse ai supplementari, ma ancora in tempo.

Un partito che ha fra i suoi valori fondanti le parole uguaglianza, equità e dignità (anche nel dibattito interno) e che sappia dare risposte partendo da qui, contribuendo da sinistra (che esiste in natura) a ricostruire un Paese sfibrato e dalle fondamenta traballanti. E per questo occorre cultura politica, studio, capacità di allargare il consenso, un linguaggio nuovo. E so di stupire, ma questo è nelle parole e nelle note di Cuperlo: oltre il battutismo e la semplificazione, oltre la capacità immaginifica senza poi soluzioni e la retorica tranchant da 140 caratteri. Insomma un pensiero con l’ambizione di essere un po’ più completo.

Il vecchio, il pericolo, eredità del berlusconismo, è la semplificazione senza struttura, l’idea della demonizzazione del “dissidente” e non del partito comunità, giustamente conflittuale ma sulle idee e non sulle appartenenze. Il vecchio, il pericolo, è l’assimilazione di una idea di partito utile alla bisogna elettorale, somma a sua volta di micro comitati elettorali correntizi, tipico appunto del centrodestra e non luogo di elaborazione di idee. Il vecchio, il pericolo è il lisciare il pelo alle pulsioni antipartitiche, l’inneggiare a una rottamazione che assomiglia al “ghe pensi mi”, anche al nostro interno, per calcoli forse vincenti ma di corto respiro. E lo dice una trentenne che avrebbe solo da guadagnarci. Il vecchio, il pericolo, è l’idea che la diversità  e il conflitto di idee non siano una risorsa.

Questo “vecchio dipinto di nuovo” è stato già troppo presente nel dibattito del Pd anche lombardo milanese negli ultimi anni: capataz e aspiranti leader a capo di correnti “parallele” e ben strutturate (e la struttura costa), agili come gazzelle nel posizionamento, meno nel pensiero.

E a fronte di questo attivismo ci si trova con un partito impoverito, con poco personale (altro che apparato, ma dove è?) svuotato in parte, sia nei luoghi dell’elaborazione che nel finanziamento. Molto non ha funzionato, poco si è discusso anche di questo. Sarà bene farlo, perché vecchie patologie non si ripetano. Per questo il tema “partito”, per il futuro, è centrale.

Cuperlo, oltre al tono pacato, fermo, ma sempre rispettoso e gentile, cerca di aprire il dibattito e dare risposte per un progetto che vada oltre la contingenza e che disegni un centrosinistra che sappia imporre una proprio cultura politica e non inseguire continuamente. Per questo sono convinta, a dispetto di molti commentatori appunto figli della semplificazione dell’ultimo ventennio, che anche fra le nuove generazioni avrà ascolto. Io sono fra quelle e quelli che intendono farlo. “È tempo di crederci”.

In ogni caso, chiunque vinca, occorre un partito che sia comunità politica, conflittuale (nell’accezione positiva, dove il confronto porta all’arricchimento) sulle idee, ma finalmente solidale.

 

Elena Buscemi

 

Pd – Consigliera Comunale Milano



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