25 settembre 2013

BARCA, CUPERLO E CIVATI O SOLO IL CARRO DI RENZI?


Per Ennio Flaiano “gli italiani corrono sempre in aiuto del vincitore”. La marcia trionfale di Matteo Renzi conferma l’amaro aforisma e impone un commento, anche se le evoluzioni controverse dell’ultima assemblea Pd meriterebbero a loro volta uno spazio congruo. In ogni caso, tra piadine e salamelle, intervistatori in ginocchio e “Matteo facce vince”, il suo carro batte la penisola, mietendo consensi, nelle piazze e nei salottini. La corsa sembra non trovare ostacoli nel paese, così come e sembra non trovare alcun ritegno l’affollarsi dei postulanti. Fa specie, davvero, il trasformismo sfacciato di chi, nel PD e nei territori limitrofi, ha qualcosa da proteggere, da tutelare, insomma gente che “tiene famiglia”, o che vuole finalmente “farsela”, magari dopo averla inutilmente elemosinata al sistema correntizio egemone. Certo, non si possono escludere genuine conversioni sulla via di Damasco, ma San Paolo nel cambiare idea ebbe tutto da perdere, mentre per tanti “convertiti” o “convertendi” ci sarebbe solo da guadagnare, così almeno credono. Non manca qualche neppure a dire il vero chi pensa di salire sul carro per condividerne, o condizionarne in un qualche modo la guida, ma quanti calcolano solo “pro domo propria”e come si illudono che il buon Matteo lasci loro se non le briglie, almeno il freno! Talmente numerosi e intraprendenti da far dire ai pochi renziani “nativi” che, quasi quasi, loro non lo sono più, giusto per dispetto.

07uccieroFBLa tristezza dello spettacolo, multiforme e articolato, dove si intrecciano inestricabilmente l’inferiority complex di un popolo di sinistra che finalmente vuole “vincere qualcosa” e l’affarismo delle lobby e degli apparati, è tale che non pochi, tra questi Giacomo Marossi, lo denunciano con toni accorati. Considerando la sua giovane età (beato lui), verrebbe da dire con Gesù: “Guai a chi scandalizza i fanciulli”. Per parte mia, mi guarderei bene dall’irridere “l’ingenuità” del sentimento, o meglio del ri-sentimento con cui guarda a un accorrere così scomposto e interessato. Se l’astuzia calcolatrice, applicata alla carriera personale viene spacciata per autentica intelligenza politica, il candore delle analisi e delle intenzioni è il bene più prezioso, va preservato e irrobustito. Ma come? E da chi?

L’approccio non può essere solo metodologico o astrattamente etico, non crediamo a un caveat centrato su verifica delle intenzioni, purezza dei curricula, o altri indicatori cari ai fantasiosi misuratori anglosassoni (PD Honesty Index?) o alla nouvelle vague grillina. No, ci vuole altro: trasparenza nei comportamenti, visione della trasformazione sociale, rappresentanza degli interessi, non sono separabili. Qui è il fondamento di un’azione politica “pura”: porre se stessi come soggetto che compete con altri nella spartizione delle rendite della politica o come “strumenti” di un’azione collettiva per rappresentare e promuovere istanze comuni? E quali? E come?

Fabrizio Barca ha introdotto la categoria critica del “catoblepismo”. Noi, che siamo meno sofisticati, ci accontentiamo di dire che il partito non deve mai diventare stato e tantomeno formare una casta di politici-amministratori che lo munge: non si fa politica per fare reddito, anche se per fare politica bisogna pur avere un reddito decoroso. Si annnuncia allora una catastrofe etica del PD, paradossale proprio quando “tutto cambia”? Le amare considerazioni finali di Giacomo Marossi la annunciano, certificando il distacco di una generazione.

Mentre incitiamo lui, e con lui noi stessi, a non lasciare PD e Paese alla ventata trasformista, sentiamo il dovere di affrontare il dibattito precongressuale con la “purezza” del politico. A questa stregua, non importa neppure se sostenendo Renzi o Cuperlo o Civati o chi domani ci si presenterà, ma affermando alcuni principi essenziali:

a) il PD non può essere partito personale e neppure un luogo nel quale giostrano i contendenti: non può essere rappresentato come un oggetto, uno spazio, uno stendardo, da conquistare come in un torneo cavalleresco, dove uno vince e prende tutto, compresa la figlia del re, mentre gli altri festosi alla fine applaudono, speranzosi delle briciole;

c) il PD come bene comune, come soggetto collettivo, come idra a mille teste, non è in se stesso contendibile, perchè è prassi sociale comune, azione di cui ciascuno è coautore e corresponsabile: lasciamo alla destra il mito dell’uomo solo al comando;

d) il pluralismo interno è bene prezioso, anche se finora compresso e deviato dalla devastante logica spartitoria delle correnti: la “rottamazione”, termine orrendo, è solo pars destruens e lascia aperti scenari inquietanti sul dopo;

e) dire partito bene comune e pluralismo è contrario di personalismo e plebiscitarismo: è costruire ambiti di analisi, decisione e controllo, comuni e regolati. Se non ci sono, creiamoli, o meglio ri-creiamoli, non tirateci l’ennesima sòla, non riciclateci come nuovo il vecchio partito di nani e ballerine. Ma neppure lasciateci un apparato che fa affari sotto le insegne della politica.

Soprattutto, il PD deve decidere la sua identità una buona volta: se sia o meno un partito che non solo pone lavoro (non importa quale) e benessere sociale come motivi essenziali di identità e visione, ma li identifica come ragione e forza del miglioramento della società. È un vecchio racconto? Certamente, ha radici lontane nel tempo, ma non è sterile. È da aggiornare nell’analisi, negli strumenti e nelle proposte? Certo che sì, ma da non gettare al vento, pena la perdita dell’anima. Come fare eguaglianza, premiando il merito, come tutelare i deboli senza perdere dinamismo sociale, questa sembra la sfida in cui collocare i nostri ragionamenti sull’eguaglianza dei nostri tempi: un sentimento, ancor prima che un valore, che resta il fondamento della sinistra. La crisi riporta d’attualità diseguaglianze antiche e le intreccia con le nuove, chiedendoci un grande sforzo di innovazione nell’analisi e nelle risposte.

Per questo poniamo a tutti, a noi per primi, domande essenziali per un partito che va a Congresso. In un Paese, dove da vent’anni stagnazione e diseguaglianza si alimentano sommandosi, non ci chiedete se Renzi o Cuperlo o altri, saranno bravi segretari, ma diteci se intendono portare più eguaglianza e come, con questa, ripeto con questa, risollevare il Paese.

In un Paese dove il 10% dei cittadini detiene la parte maggiore della ricchezza nazionale, diteci se intendete spostare il peso fiscale dalla produzione del reddito al patrimonio. In un Paese, dove l’art. 18 viene esibito come il padre di tutte le esclusioni giovanili, spiegateci perchè stages fittizi, paghe miserabili e licenziamenti di comodo, allignino nelle imprese, o negli studi professionali, dove lo Statuto non è mai neppure apparso.

In un Paese, dove le pensioni minime sono state tagliate con durezza ottocentesca, diteci come intendete restituire, con il potere d’acquisto, la dignità a milioni di anziani. In un Paese, dove la pressione fiscale ammazza tanti piccoli imprenditori, diteci come intendete colpire l’evasione strutturale e alleggerire il gravame sugli onesti. In un Paese, dove l’economia criminale è metastasi diffusa, diteci come intendete ripristinare con il senso dello Stato le regole minime della convivenza civile e della buona impresa.

In un Paese dove la flessibilità è sinonimo di precariato, diteci se si può pensare a forme di tutela innovativa che restituiscano senso di cittadinanza a chi non è dipendente. In un Paese dove il merito viene chiamato assente all’appello mattutino, diteci come connetterlo alle posizioni di partenza, dando senso compiuto all’espressione “pari opportunità”. Diteci se siete i Tony Blair nell’Italia del XXI secolo, o piuttosto Prodi o Hollande, non diciamo Lenin. Soprattutto dateci contenuti, non formulette, programmi politici e non santini, enemmeno volumi di 300 pagine dimenticate poi all’uscita dalla tipografia. Dateci visione, non rassegnazione. Di fronte alla crisi più radicale, dateci proposte radicali. Lavoriamo pure di cacciavite, ma diteci su quale motore, se aggiustando quello vecchio ed ansimante, o preparando quello nuovo e scoppiettante, pur con qualche debàcle in prova!

Intanto il carro va e forse arriverà primo. Renzi stia in guardia però, ché chi oggi lo attornia per interesse domani, al primo insuccesso, gli presenterà il conto, come se tutto quanto sarà stato solo “farina del suo sacco”: Veltroni docet. Ma soprattutto gli si faranno attorno gli “ingenui”, con la valigia piena di speranze e illusioni, e loro gli faranno le domande più difficili.

 

Giuseppe Ucciero

 

PS. L’articolo è stato scritto prima dell’assemblea del PD di sabato 21 settembre.



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti