1 giugno 2009

IL PARADOSSO DELLA TARSU: COME FAR VALERE I DIRITTI MOLECOLARI?


Giorgio Ragazzi ha ben descritto il paradosso di un’innovazione che genera problemi e toglie risorse: produce costi di gestione, riduce il gettito e aumenta le difficoltà per i contribuenti. Un’innovazione così disastrosa che descriverla siamo costretti a sostituire l’originale sintesi anglosassone win – win (tutti vincono) con la maccheronica traduzione domestica lose – lose (tutti perdono).

Verrebbe istintivamente di correre a vedere chi ha pensato questa stupidaggine, ma subito ci fermiamo: un po’ perché sappiamo che la ricerca delle responsabilità in Italia è semplicemente inutile, un po’ perché il problema non è “chi”, ma, come dice un fortunato tormentone comico televisivo, “pecchè”, insomma perché.

Per quale motivo, per il prevalere di quale cultura sociale, amministrativa, giuridica, di quale concezione dello stato e dei diritti dei cittadini, per quale assetto nel processo di formazione delle leggi, può crearsi una “TARSU”, così come mille altre tarsu vengono tutti i giorni pensate e perpetrate? E poi soprattutto, “come possiamo pensare di venirne a capo, mobilitando quali risorse, attivando quali forze, in uno sforzo che sembrerebbe del tutto bipartisan, e a costo zero dato che tutti ci perdono e nessuno guadagna, né il fisco, né la pubblica amministrazione, né i cittadini. Si dice “sembrerebbe”, perché poi, come vedremo, gratta gratta, la questione rimanda a fenomeni profondi del rapporto tra pubblica amministrazione, politica e cittadini, e richiede una lettura inevitabilmente “politica”.

Dunque, prima di tutto “perchè”. Una chiave di lettura, aggiuntiva a motivazioni ben note che hanno a che fare con il processo storico con cui in Italia si sono fatti Stato, burocrazia, rapporto con i cittadini, potrebbe essere tentata pensando al tema degli interessi diffusi, alla loro rappresentanza, e al modo con cui questa rappresentanza si articola oggi in Italia.

Al profilo autoritario che per impronta genetica si è incarnato nella Pubblica Amministrazione italiana, si deve aggiungere la difficoltà e la lentezza con cui gli interessi diffusi, sociali, molecolari, trovano prima espressione, poi rappresentanza e infine capacità di tutela.

Su quest’aspetto, anche la sinistra ha le sue colpe e i suoi ritardi, ma lasciamoci alle spalle di nuovo la ricerca delle responsabilità e approfondiamo il tema. Infatti se è vero che praticamente non esiste ambito di attività in cui figure sociali ed economiche non trovino rapidamente con le ragioni dell’identità anche quelle della consorteria, e per questa strada imbocchino la via per un’azione di lobby tanto più sistematica quanto meno è ampia la sfera degli interessi presi di mira, è altrettanto vero che quando determinati interessi sono trasversali, diffusi ma atomizzati fino a una dimensione molecolare, allora sembra non scattare con altrettanta prontezza e decisione il meccanismo dell’autodifesa.

E’ questa una sfera di enorme ampiezza, connotata tipicamente dalla presenza, da un lato, di un soggetto erogatore di un servizio o dall’esercizio di un potere, e dall’altro lato da una platea di singoli soggetti destinatari dei servizi o della manifestazione del potere: in questa sfera troviamo di tutto, dai grandi poteri economici mono o semimonopolistici, fino all’erogazione di processi di servizio degli EE.LL.. In tutti i casi, da un lato troviamo il monolite, il moloch amministrativo ed economico, dall’altro il soggetto privo di reale capacità di incidere, destinato a tacere, sopportare e soccombere.

Nella società contemporanea della concentrazione delle risorse e dei poteri, delle grandi tecnostrutture burocratiche, la capacità del singolo cittadino-consumatore, nella sua duplice veste di soggetto giuridico e di terminale del sistema produttivo, di far valere, o anche solo comunicare, i propri interessi è pressoché azzerata.

Si pone allora il tema della rappresentanza, e ancor prima quella dell’identità. E’ infatti vero che nei paesi anglosassoni, non solo lo Stato presenta una diversa genesi storica, ma negli ultimi decenni si sono affermate pragmaticamente prima sensibilità sociali e poi modelli di aggregazione degli interessi diffusi e infine di responsabilità sociale.

Per quanto ci riguarda, la sinistra di casa nostra deve ammettere di non avere dedicato a questo tema una sufficiente attenzione, essendo fino a poco tempo addietro ancora in preda a visioni organicistiche del conflitto sociale e delle sue forme di rappresentanza: chi cercava identità forti disegnate sul mondo della produzione, non vedeva neppure, non cercandole, le identità che il cittadino moderno vive e proietta nella sua condizione di cittadino e di consumatore. Il riconoscimento del caleidoscopio delle identità moderne, la comprensione che la rottura delle identità monoculturali è l’effetto e non la causa del declino di una certa visione del mondo e della politica, ci devono invece spingere a individuare, con i nuovi bisogni e le nuove identità, le più adeguate forme di rappresentanza per comunicarle, mediarle, tutelarle.

E’ il mondo degli interessi diffusi, dei bisogni molecolari, delle “identità deboli”, è il mondo dei diritti di cittadinanza.

E’ un mondo destrutturato che chiede rappresentanza e organizzazione coerenti con la natura dei propri interessi e le proprie identità.

È il mondo dell’associazionismo, delle forme fluide di organizzazione, della Rete, del comporsi ed altrettanto rapido destrutturarsi di aggregazioni definite per obiettivo.

E’ un mondo possibile, certamente un mondo agli albori, e un mondo a più uscite.

Se si sapranno accompagnare, sul fronte dell’intelligenza sociale, le opportunità che le nuove tecnologie della rete offrono come preziosi strumenti di accesso, condivisione e mobilitazione, chi potrà difendere una TARSU quando milioni di cittadini chiederanno con insistenza la sua sostituzione? Non certo il politico. Oggi il cortocircuito sociale è lì: poteri forti, diritti molecolari, identità deboli, nuove forme di rappresentanza, rete.

Chi troverà le soluzioni avrà un grande vantaggio nel nostro futuro.

Giuseppe Ucciero



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