1 giugno 2009

IL PATRIMONIO DEL COMUNE: STAVAMO MEGLIO “PRIMA”


Forse non tutti ricordano che la nascita delle “aziende municipalizzate” si deve al socialismo municipalista che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio della dittatura fascista diede vita tra mille difficoltà e gli strali non metaforici della borghesia industriale a questa straordinaria esperienza di realizzazione di servizi, dall’acqua potabile all’illuminazione, per il popolo e non solo per i “signori”.

Negli anni del secondo dopoguerra, soprattutto a Milano, le municipalizzate furono lo strumento della grande modernizzazione cittadina, con la diffusione di servizi che riportarono la nostra città nel novero delle grandi metropoli europee. Anche questa seconda fase non fu poco contrastata: basti ricordare gli alti lai alla libertà d’impresa violata elevati in occasione dell’acquisizione da parte dell’Azienda Elettrica della rete gas dalla Montedison, realizzata dalla prima giunta Tognoli, con un investimento che, nel giro di pochi anni, decuplicò il suo valore e, all’epoca, diede comunque una boccata d’ossigeno al colosso della chimica già sulla strada del disastro (“privato” con i soldi pubblici, ma questa è un’altra storia).

Nel quindicennio della “Seconda Repubblica” le municipalizzate sono state bollate come sentina di ogni male, partendo dall’assunto (ahimè vero) che erano diventate terreno di pascolo e malgoverno dei Partiti. Con il tipico metodo di gettare il bambino con l’acqua sporca, la rivincita dei “padroni” è consistita nel dare un significato tutto particolare al capitolo “privatizzazioni”, che si concretizzò anch’esso in due fasi. Nella prima si procedette al passaggio ai soliti noti a condizioni diciamo favorevoli di interi pezzi pregiati (la Comit, le Autostrade, Fastweb) o di parti di esse (la famosa svendita di Albertini della quota Aem, i tentativi per Serravalle), mentre nella seconda, avendo a che fare con oggetti più complessi, con redditività meno garantita e con il business delle aree da edificare da scorporare, come per la Fiera di Milano o la Sogemi, si è pensato di saltare un passaggio, togliendo di mezzo figure mezzadrili che magari, come nella Prima Repubblica, potevano pensare di mettersi in proprio, installandosi direttamente nei posti di comando.

Come dice la saggezza popolare, si è ricchi solo se si è molto attenti al denaro e quindi il nuovo stile si è concentrato sul “merito”, inteso come indennità di carica: la vicenda tragicamente ridicola del premio di produzione “garantito” di Lucio Stanca alla non ancora avviata Expo è in perfetta linea con il trucco del doppio incarico alla Sea di Bonomi per aggirare il tetto di legge sui compensi, come con il ricorso contro lo stesso odiatissimo “tetto” presentato da Elio Catania, presidente Atm per “rendere un servizio alla mia città”, si suppone di adozione dal momento che è romano di nascita, alla modica cifra di 300 mila euro l’anno.

Il fatto che, per esempio, la Fiera di Milano sia un fallimento imprenditoriale, cui la leggendaria relazione di bilancio 2007 con plauso agli amministratori (e relativo premio) per “aver perso meno di quanto si pensasse” garantisce un nuovo tocco di tragica comicità, è evidentemente un dettaglio. E deve essere egualmente secondario il fatto che la Sea è precipitata nel ranking di efficienza delle società aeroportuali europee, che la Soge Expo si copre di ridicolo non riuscendo nemmeno a trovare la sede, che la Zincar, ignota ai più, ha letteralmente sperperato tre volte il suo capitale (pubblico) senza riuscire nemmeno a iniziare l’attività, che l’Aem diventata A2A stia per finire senza esborsi sotto il controllo di Edison e quindi dei francesi (pubblici). I “padroni delle ferriere” si sono fatti furbi, non si chiamano più padroni ma “manager”, lasciano la proprietà e l’onere dell’investimento al pubblico, così ogni tanto si può imbastire una polemicuzza sui veterostatalisti, dandosi uno stipendio adeguato alla loro capacità ovviamente automisurate. Conflitti d’interesse, civil servant, controllo democratico, sono concetti del passato, ci fanno sapere con fare annoiato le donne e gli uomini del “fare” (gli affari loro?).

Le giunte democratiche degli anni ottanta hanno aumentato il valore del patrimonio comunale e ampliato i servizi alla cittadinanza, quelle dell’antipolitica hanno diminuito sia gli uni sia gli altri.

Io, Il vostro Giano bifronte guardo nelle due direzioni e ripeto: si stava meglio quando si stava peggio.

Franco D’Alfonso



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