11 settembre 2013

FESTE PD: PER CHI? PERCHÈ?


Non si deve vivere né di rimpianti né di nostalgie, però tra le Feste dell’Unità di una volta e le Feste democratiche di oggi c’è un abisso. Tutta colpa della crisi del Pd? Non credo; certo che vedere lunedì a Milano il segretario Epifani davanti a una platea di 200 persone la dice lunga.

Per carità, tutto è cambiato. Il popolo del web ha senza dubbio accolto moltissimi dei simpatizzanti della sinistra, soprattutto tra i più giovani e dunque tutti o quasi sanno tutto di tutti e sono aggiornati in tempo reale delle opinioni, degli umori, delle vicende e dei cambiamenti di campo di leaders grandi e piccini. Perché andare alla Festa del Pd se si sa con buona approssimazione quello che si sentirà?

Qualcuno, di solito andando deluso, spera che in coda all’evento ci sia un dibattito e pensa di poter dire anche la sua ma non è così. Di quest’opportunità proprio non se ne parla. Le contestazioni per la mancanza di dibattito si sono fatte ormai anche rumorose, qualche conduttore è stato fischiato, qualcuno ha lasciato rumorosamente la sala: non è questione solo di nervi tesi ma anche di preoccupazione per eventuali cedimenti del Pd sul fronte della sorte di Berlusconi. Timori non privi di fondamento.

Qualcuno, soprattutto di questi tempi, spera di sentire finalmente la declinazione degli slogan: tutti parlano di rinnovamento del Partito ma nessuno ti dice come, in concreto descrivendo ruoli luoghi e disponendo uomini e cose. Se il Partito Democratico fosse un’azienda, ma non lo è per gli elettori, forse lo è per i dirigenti, se dunque qualcuno ti viene a dire che vuole un’azienda (partito) leggera, un’azienda liquida, un’azienda aperta al dialogo e non va oltre nella descrizione del cambiamento, gli ascoltatori si alzano silenziosamente per andare a mangiarsi una piadina, una salsiccia, o qualche altra specialità regionale: questo almeno alle Feste democratiche si può ancora fare.

Bisogna dire che, salvo che per la festa nazionale (a Genova quest’anno), i temi dei vari dibattiti non brillavano per interesse, in particolare a Milano, né vi erano relatori di grido, fatti salvi i sindaci delle città ospiti che di carne al fuoco negli ultimi tempi ne hanno in abbondanza: si è avuta l’impressione che le scelte siano state largamente condizionate dalle appartenenze alle correnti che per gli elettori, nella gran massa, sono un fenomeno carsico. Due o tre star che riempiono, magari non proprio, lo spazio convegni in due settimane di festa sono un gioco che non val la candela. La ricaduta è modesta o nulla rispetto all’obbiettivo di non parlare solo allo zoccolo duro degli iscritti ma di allargare il consenso o quantomeno di contribuire alla cultura politica della città.

Credo onestamente che di queste feste si potrebbe fare anche a meno sopratutto perché pare che dal punto di vista economico (soldi per le federazioni) non siano un successo. Tutto finito dunque? Sì, salvo che chi pensa alla forma Partito e alla sua nuova identità, non ripensi anche a una nuova formula di “festa”. La festa al tempo del web, perché il web non ha esaurito la voglia di socializzare della gente, anche se ha spinto verso la separazione fisica delle persone, anzi in molti casi tra Face book e Twitter, ne ha costituita la spina dorsale organizzativa.

Allora ripensare alla “festa” vuol anche dire pensare a una vera regia e magari anche un po’ alla scenografia. Insomma la concorrenza della tv, dell’iPad e del portatile seduti nella poltrona di casa c’è ed è difficile da battere. Ma soprattutto bisogna pensare alle idee: il vuoto d’idee, slogan banali o discorsi prevedibili non fanno concorrenza a nulla e a nessuno.

 

Luca Beltrami Gadola

 

 



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