11 settembre 2013

PERDITA DI COMPETITIVITÀ: MILANO E LE REGIONI EUROPEE


L’indice di competitività delle regioni europee 2013, elaborato da Paola Annoni e Lewis Dijkstra per l’UE-DG politiche regionali, segna un gran tonfo per la Lombardia, che perde 41 posizioni, uscendo dalle prime 100. Essa era al 98° posto nel 2010, oggi è al 139° su un totale di 262; se consola, con questa posizione conserva la migliore classifica fra le regioni italiane. Fra le regioni delle grandi nazioni, le parti alte della classifica sono occupate dalle tedesche, in continuo miglioramento, la parte centrale dalle francesi, in fase stazionaria, la parte bassa è riservata ai paesi PIIG, Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, i quali, se continueranno le attuali tendenze, si troveranno in compagnia della Gran Bretagna, che presenta un ampio sbraccio di posizioni, con tendenza all’arretramento.

Bisogna prendere atto che l’indice altro non è che lo strumento di monitoraggio del modello di sviluppo comunitario, per cui, se le regioni italiane arrancano nella parte bassa della classifica, significa che hanno deficit strutturali sostanziali, tali da compromettere il raggiungimento dell’obiettivo dello sviluppo cui la nostra comunità aspira dopo anni di recessione.

La mia analisi privilegia quindi i fattori strutturali della competitività, rispetto alla posizione dei singoli indicatori. L’indice di competitività delle regioni europee vuole definire la capacità di una regione di offrire un ambiente attrattivo e sostenibile alle imprese e ai cittadini che lì vivono e lavorano. Il termine sostenibile non è usato solo in senso ecologico – ambientale, ma nel senso della capacità di un contesto di offrire un ambiente complessivamente attraente nel breve e lungo momento.

L’indice da particolare enfasi alla leadership delle istituzioni regionali per creare benefici alle imprese, ai residenti, alle istituzioni e per mediare costruttivamente i loro conflitti d’interesse. Esso valuta quindi lo sforzo per creare a un ambiente attrattivo ed equo, in grado di combinare gli obiettivi di successo economico con il benessere dei cittadini.

Regioni amministrative o funzionali? È a discrezione delle autorità locali definire l’unità territoriale che va a comporre la regione, per cui a fianco delle regioni amministrative, emergono in numero crescente le regioni funzionali. Questo segna il declino dei principi gerarchici che hanno segnato l’emergere delle ‘aree vaste’, come le regioni o le aree metropolitane nel ‘900, a favore delle aggregazioni di scopo, temporanee e basate sulla creatività di amministrazioni che si uniscono per sviluppare politiche mirate, attive e generative, in coerenza con la politica delle piattaforme operative sostenuta dall’UE. Il risultato è la tendenza alla frammentazione; la rilevazione dell’indice 2013 assimila alla regione gli spazi funzionali facenti capo alle aree metropolitane di Londra, Bruxelles, Vienna, Praga, Berlino, Amsterdam. Per l’Italia nella stessa direzione va la valutazione delle Provincie autonome di Trento e Bolzano, considerate separatamente.

Una conferma della tesi di Alesina e Spolaore (The size of nations, MIT Press, 2003) i quali sostengono che la globalizzazione facilita la creazione di nuovi stati e, per estensione, gli stati più grandi si vanno frammentando in unità amministrative più piccole? È in discussione la storica legge di Solow e Jacobs sui vantaggi d’agglomerazione delle grandi megalopoli? La questione è aperta, ma sicuramente sono in crisi quelle nazioni e quelle regioni che non hanno saputo e non sanno aprire un dialogo creativo e collaborativo con la variegata gamma di aggregazioni socio- territoriali che le compongono.

Competitività e modello di sviluppo. I parametri dell’indice di competitività valutano un modello di sviluppo articolato in tre momenti: le forze propulsive, la base infrastrutturale, la capacità di innovazione. Le forze propulsive sono la capacità di leadership delle istituzioni e il sapere. Alle istituzioni spetta saper interpretare il cambiamento, stimolare politiche innovative, creare un ambiente in grado di agevolare imprese e cittadini, grazie alla qualità dei servizi. Al sapere spetta il ruolo fondamentale di aumentare le capacità della popolazione durante l’intero ciclo di vita. La base infrastrutturale è costituita dall’efficienza del mercato del lavoro e dalla sua dimensione, dalla dotazione di infrastrutture fisiche e dalla sanità. La capacità d’innovazione è riferita alla generalità dei portatori d’interesse: la comunità, le imprese industriali, le imprese dei servizi.

Come si nota l’Unione europea propone un modello di competitività in cui lo sviluppo delle risorse umane è più importante dell’intensità di produzione delle cose, a questo modello si possono fare alcune osservazioni: manca una misura del livello di coesione, perché non dobbiamo dimenticare che se la competitività è importante essa non può essere disgiunta dalla crescita della coesione, valore fondativo dell’Unione; manca qualsiasi riferimento al livello di decoupling, ossia al rapporto fra crescita della produttività e risparmio di risorse naturali. In tal modo l’indice ignora due aspetti fondamentali della competitività: deve essere raggiunta con risparmio di risorse naturali e quindi, deve tener presente anche il loro valore economico.

Ritornando alla Lombardia. Compreso il modello, si possono facilmente valutare i risultati della nostra regione, che sono relativamente omogenei con quelli delle altre regioni italiane. L’indice di competitività è letteralmente affossato dall’andamento di quelle che dovrebbero essere le forze propulsive, ossia le istituzioni e il sapere. Infatti il ranking delle istituzioni (225 su 262) e 25 su 29 a livello nazionale (dopo di noi solo Croazia, Grecia, Romania e Bulgaria) è determinato dai seguenti indicatori: livello della corruzione percepita, peso e costo del crimine organizzato, trasparenza degli atti di governo, efficacia del sistema regolatorio, clima istituzionale per le imprese e facilità di accesso al mercato, qualità della programmazione con riferimento all’accountability. La posizione del sapere è determinata dalla qualità dell’istruzione primaria e secondaria (23 su 29 a scala nazionale) e dall’università e long life learning (194). L’istruzione di base paga la difficoltà nel tenere il passo con gli obiettivi di Europa 2020 in quanto a sviluppo delle capacità di base, internazionalizzazione, imprenditorialità. Mentre l’università è condizionata dal suo isolamento istituzionale rispetto al sistema europeo, la sua assenza dalle piattaforme operative e dall’esiguità dei programmi long life learning.

La situazione va meglio per quanto riguarda la base infrastrutturale; le infrastrutture fisiche sono al 44° posto, la dimensione del mercato al 29°, la sanità al 30°, mentre l’efficienza del mercato del lavoro (128) è condizionata dalla preoccupante fuoriuscita dal mercato dei giovani e dalla maggiore difficoltà occupazionale delle donne. I risultati in termini d’innovazione sono contradditori: un’alta sofisticazione nell’offerta dei servizi, specie finanziari (35) si accompagna a una media capacità di innovazione (98) e a una bassa capacità di adeguamento tecnologico (184), ma per quest’ultimo indicatore le variabili adottate non sono molto significative.

Nel complesso c’è poco da stare allegri, è auspicabile che una rinnovata coscienza civile stimoli investimenti innovativi per un sapere in grado di creare migliori capacità e una coscienza civile più sensibile al potenziale distruttivo di istituzioni pubbliche inadeguate.

 

Giuseppe Longhi

 



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