11 settembre 2013

CATASTO. UNA RIFORMA URGENTE A MILANO: PIÙ EQUITÀ E PIÙ GETTITO


“Casa mia, casa mia, per piccina che tu sia, tu mi sembri una badia”: questo vecchio proverbio, può rendere bene l’idea dell’attaccamento degli italiani alla proprietà immobiliare, in questo momento storico in cui la revisione dell’imposta sulla casa e la possibilità della sua abolizione viene vista come la madre delle battaglie di Governo tra destra e sinistra.

L’Italia sembra in un certo senso essersi trasformata da Repubblica “fondata sul lavoro”, a “fondata sulla casa”, e nella proprietà immobiliare si annida una gran fetta di evasione fiscale. Per richiamare la necessità di intervento, segnalo alcuni numeri ottenuti incrociando rilievi aerofogrammetrici, banche dati e ricerche di istituti bancari: in Italia ci sarebbero 350.000 case non accatastate, 1.600.000 unità immobiliari registrate catastalmente ma fuori dalle dichiarazioni dei redditi, quasi 4.000.000 di unità di cui non si conosce l’esatta dimensione. Parecchi gli errori rilevati nelle documentazioni catastali, e le incongruenze negli strumenti di classificazione, aree e zone non omogenee con sperequazioni di valori catastali, classificazioni degli immobili in diversi casi obsolete e non rispondenti alla tipologia e qualità effettiva dell’abitazione.

Il patrimonio immobiliare in Italia coinvolge quasi l’80% dei cittadini, vale complessivamente migliaia di miliardi, ma nel 2012 ha prodotto entrate fiscali irrisorie, una quarantina di miliardi. Se si vuole spostare l’asse del fisco dalla tassazione sul lavoro a quella sulla proprietà, e ridistribuire il carico tra le proprietà immobiliari con maggiore equità, non si può non procedere a un aggiornamento delle classificazioni degli immobili, degli strumenti di controllo e valutazione e quindi a una riforma complessiva del catasto edilizio, strumento di duplice valenza, contrasto all’abusivismo e all’evasione fiscale, a cavallo tra Urbanistica ed Entrate e Tributi.

La riforma attesa dovrà occuparsi non solo di censire tutto il costruito del Paese, rivedendo l’attribuzione delle unità nelle categorie di classificazione, ma contemporaneamente di stabilire più aggiornati, e quindi corretti, valori di rendita. Revisione che non è mai stata fatta, se non parzialmente e applicando incrementi di valore tariffari di estimo lineari negli anni ’90, e approfondita nel tempo da pochissimi Comuni.

Obbiettivo difficile di governo da decenni, riportato di recente in Parlamento, che si stima richiederà almeno cinque anni per dare origine a una compiuta riforma, su cui Anci si è espressa con fermezza, richiamando una maggiore collaborazione tra Comuni e Agenzia delle Entrate – Ufficio del territorio, la necessità di attuare un decentramento delle funzioni catastali in capo ai Comuni, con la attribuzione agli Enti Locali di strumenti di attuazioni efficaci (finanziari, strumentali, ma soprattutto di personale) per dare ai Comuni stessi la possibilità di snellire i procedimenti, fotografare con maggiore attendibilità la situazione locale, e utilizzare compiutamente questo strumento che è in grado di ristabilire equità fiscale. È il Comune che concede di realizzare sul suo territorio l’unità immobiliare, conoscendone perfettamente le caratteristiche tipologiche e strutturali, e quindi anche il valore e la conseguente rendita.

A Milano – che ai fini della classificazione catastale dal 1999 è divisa in 55 zone omogenee – qualche passo si è fatto: nel 2008 il Comune è riuscito (grazie alla Legge 311 del 2004, comma 355) a procedere al riclassamento di quattro microzone del Centro Storico, aggiornandone i valori a un livello superiore. Ma quello strumento normativo che operava per zone è stato possibile utilizzarlo una sola volta, e ora la richiesta di variazione va inoltrata per isolato all’Agenzia delle Entrate – Ufficio Territorio, grazie a un protocollo tra Comune di Milano e Agenzia stessa siglato lo scorso dicembre.

Il volume delle unità immobiliari registrate nel catasto urbano di Milano (sono circa 800.000 solo le unità residenziali accatastate, e di queste 1/5 non risulterebbero nelle dichiarazioni dei redditi), la necessità di bonificare le banche dati dai molti errori, e soprattutto i cambiamenti significativi del tessuto urbano milanese degli ultimi decenni – la nascita di nuovi quartieri, l’aggiornamento del valore di mercato, la modifica dei valori di posizione di alcune zone valorizzate dal trasporto pubblico, da nuovi servizi e da trasformazione di funzioni – richiederebbero un aggiornamento più sistematico, di revisione sia delle microzone sia dei parametri che definiscono la classificazione degli immobili. Alcuni standard che classificano la classe A1, le abitazioni signorili, sono anacronistici, come ad esempio la soglia minima di 230 metri quadri per appartamento; pensiamo alle nuove residenze a City Life, vendute a 12.000 euro a mq, superaccessoriate, attrezzate con domotica e impianti all’avanguardia, che sicuramente possono essere definite signorili anche quando l’appartamento è di 120 mq.

La complessità dell’intervento di revisione sul catasto, richiede quindi strumenti normativi adeguati, e incremento di personale e risorse, e maggiore decentramento delle funzioni gestionali ai Comuni. Gli strumenti tecnici di analisi e controllo ci sarebbero anche (ricordo alcuni strumenti coofinanziati dal Dipartimento Affari Regionali nel 2008, nell’ambito del bando E.L.I.S.A, contenitori e classificatori di dati che consentono di incrociarne per fare controlli), utilizzati circa 300 Comuni italiani, che hanno aderito al bando. Il processo di adeguamento è però rallentato dall’impossibilità di poter prendere decisioni autonome per restare al passo dei cambiamenti.

Per non rimanere fermi in attesa che la riforma arrivi i Comuni potrebbero servirsi dei dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare, che stabilisce valori aggiornati semestralmente riferiti a microzone ritenute omogenee. Attraverso questa banca dati possono essere riequilibrate le differenze tra zone, ma possono accentuarsi le disequità all’interno della stessa area: una casa di civile abitazione in zona Arco della Pace non dovrebbe avere la stessa valutazione a mq del palazzo d’epoca che ha di fianco. È quindi questo strumento alternativo ancora incerto e inadeguato.

L’unica vera certezza è che città come Milano hanno una disperata necessità di una revisione capillare del catasto e di collegato un trasferimento di risorse umane e di fondi, per non parlare della ovvia ristrutturazione della burocrazia, per restituire una fotografia della città più vicina alla realtà di ciò che è ora, per contrastare meglio l’abusivismo edilizio, e per una più equa ridistribuzione del carico fiscale sulla casa. Non è più tempo di indugiare, anche su questo i Comuni devono avere possibilità di decidere.

 

Paola Bocci

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti