17 luglio 2013

PICCOLE POLITICHE PER GRANDI NUMERI: GLI SPAZI PUBBLICI PER FAR CRESCERE IL PRIVATO


Le politiche urbane non rappresentano una sfera molto frequentata dalle nostre amministrazioni locali; spesso nelle giunte comunali ci si adagia su schemi e suddivisioni delle competenze che danno riscontro a logiche politico-partitiche ma che generalmente non attivano percorsi e visioni che integrano la necessità di gestione dei fenomeni urbani e i bisogni delle comunità nelle diverse espressioni e articolazioni socio-economiche. Ci troviamo quindi di fronte ad assessorati all’urbanistica, alla casa, edilizia privata, lavori pubblici, sviluppo economico e via discorrendo, in un moltiplicarsi di strutture la cui parcellizzazione delle competenze è funzione del relativo grado di stabilità o meno delle maggioranze politiche di governo.

L’unico vero elemento unificante è il solito mantra che si esprime attraverso il lamento: “vorremmo incidere di più ma ci mancano le risorse economiche per operare”. In realtà una delle più importanti risorse di un’amministrazione locale, anche se non l’unica, risiede proprio nella capacità di porsi autorevolmente al centro delle problematiche che attraversano il corpaccione urbano, intercettarne l’intelligenza sociale e supportarla verso percorsi in grado di coniugare coesione sociale e obiettivi comuni.

Di seguito sono delineate alcune considerazioni e una proposta di percorso, per evidenziare come una inversione di tendenza rispetto all’approccio tradizionale, potrebbe portare a dei risultati efficaci in grado di contrastare alcuni fenomeni di depauperizzazione che stanno investendo settori importanti della cittadinanza e della sua base economica. Come noto, nelle principali realtà urbane del paese si concentra una quota rilevante del tessuto economico costituito da settori legati alla produzione di servizi e al lavoro intellettuale. Milano da questo punto di vista è un caso esemplare, avendo storicamente costruito su questa base sociale molte delle sue fortune anche nel contesto internazionale.

Questo tipo di realtà che comprendono i settori dell’ingegneria, della progettazione e del design, editoria, comunicazione e pubblicità, servizi legali e amministrativi, risentono oggi in maniera radicale degli effetti della crisi e di conseguenza sono investite da un processo di progressivo ridimensionamento degli organici e degli addetti in ragione del contenimento dei costi e del mantenimento di livelli minimi di competitività rispetto ai relativi mercati di riferimento, peraltro sempre più mordaci e incattiviti.

La riduzione degli occupati costituisce il meccanismo di più immediata applicazione per il raggiungimento degli obiettivi di “spending review” e le fasce più esposte a questo tipo di iniziative risultano essere quelle dei giovani e delle donne. I numeri sono significativi e importanti, nell’ordine delle migliaia, anche se non immediatamente intercettabili dalle tradizionali fonti e modalità di monitoraggio statistico poiché riguardano i cosiddetti lavoratori “atipici” (per lo più collaboratori a progetto, dipendenti a tempo determinato, consulenti a partita IVA).

Il progressivo evolversi di questo processo tende non solo all’impoverimento della base sociale nel suo complesso ma anche all’interruzione dei percorsi di apprendimento e formazione di coloro che, nell’arco di qualche decennio, dovrebbero auspicabilmente costituire la massa critica della classe di tecnici e professionisti del nostro Paese, considerando che nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di personale laureato e che opera in ambiti che implicano elevati livelli di formazione e specializzazione. Ovvero, una delle principali componenti della ricchezza e della dinamicità di una comunità urbana.

Nella fase attuale e date le criticità del contesto economico generale, l’espulsione da questi settori del mercato del lavoro si profila con caratteristiche di difficile reversibilità nel breve-medio periodo elevando i rischi di un processo di definitivo allontanamento e una complessiva depauperizzazione di fasce di popolazione su cui sono state investite ingenti risorse (pubbliche) dal punto di vista della educazione e formazione. Come accennato in precedenza quella dei tagli delle risorse umane costituisce la via più breve e immediata mentre scelte alternative, quali il ridimensionamento ad esempio dei costi di spazi e uffici non trova altrettanti vantaggi date le condizioni di mercato.

Contemporaneamente nelle medesime aree urbane si riscontra la presenza di milioni di metri quadri di superfici terziarie-direzionali inutilizzate o sottoutilizzate e che risultano sfitte o invendute in ragione di un generale e complessivo sovradimensionamento di queste tipologie di insediamento, operato nel corso degli ultimi decenni dalla pianificazione urbanistica. Questo tipo di offerta che non trova riscontro in modalità di utilizzo razionali, si localizza nelle forme più diverse, in località centrali e semi-centrali, in ambiti specializzati di grandi dimensioni oppure in forme più o meno parcellizzate e diffuse rispetto al tessuto edificato. Essa costituisce la rappresentazione plastica del contributo alla rendita offerto dall’intero sistema urbano.

Ragionare sulla possibilità di trasformare due enormi problemi, da una parte lo stock edilizio inutilizzato dall’altra la necessità di dare respiro a settori messi in ginocchio dalla crisi economica, potrebbe rappresentare l’opportunità di generare delle leve in grado di fermare l’emorragia di posti di lavoro e ridare ossigeno a settori strategici per l’economia.

Una opportunità potrebbe essere fornita dalla individuazione di uno strumento normativo e un soggetto attuatore che, operando attraverso meccanismi di premialità e sanzioni fiscali, consenta di aumentare le percentuali di occupancy delle aree e degli edifici “vuoti” destinati a uffici mediante la ri-localizzazione a costi “calmierati” di strutture, società, associazioni professionali appartenenti ai settori sopracitati, garantendo a queste ultime una serie di economie e di riduzione dei costi da re-investire nel mantenimento o addirittura nell’incremento dei livelli occupazionali attuali.

L’adesione volontaria a questo tipo di iniziativa dovrebbe quindi trovare un equilibrio in grado di garantire: 1) alla proprietà immobiliare condizioni di alleggerimento del peso fiscale in funzione della immissione nel mercato a prezzi calmierati degli immobili attualmente sfitti e non utilizzati; viceversa la mancata partecipazione al programma dovrà trovare l’applicazione di un corrispettivo appesantimento del regime fiscale; 2) alle imprese, studi e società che operano nei settori tecnici e professionali una significativa riduzione dei costi di gestione mediante il significativo abbattimento dei canoni di locazione di uffici e sedi operative; 3) il condizionamento all’accesso a “canoni calmierati” per società, studi, imprese attraverso la dimostrazione di obiettivi di mantenimento degli organici al momento dell’ingresso nel programma e la contestuale documentazione dei progetti di sviluppo e della formazione delle risorse umane.

Il soggetto attuatore del programma potrebbe / dovrebbe essere individuato nell’ambito della pubblica amministrazione, o più precisamente nell’ambito dell’ente locale (Comune) che oltre a caratteristiche di autorevolezza e di garanzia, dovrà essere operativamente in grado di: a) raccogliere e organizzare il confronto e il lavoro dei diversi rappresentanti del mondo degli operatori coinvolti (proprietà, associazioni professionali e di impresa) nella elaborazione e attuazione degli accordi; b) svolgere la funzione di garanzia rispetto alle corrette modalità esecutive del programma e dei contratti di locazione stipulati nel relativo regime; c) intervenire utilizzando la leva fiscale, nell’applicazione del sistema delle premialità e delle sanzioni previsto dallo strumento legislativo di riferimento; d) monitorare l’attuazione degli accordi e programmi con la facoltà di intervenire mediante “revoca” degli stessi e dei relativi benefici economici o fiscali da essi derivanti, nel caso le parti coinvolte non ottemperino gli obblighi previsti.

In anni recenti iniziative similari sono state promosse in altri contesti europei con finalità diverse e legate al contenimento dell’emergenza abitativa con risultati molto positivi. Un programma del genere, applicato aduna realtà economica come per esempio quella della città di Milano, per i numeri coinvolti potrebbe rivelarsi particolarmente efficace e con un impatto non trascurabile sull’intero sistema. Non sarebbe eccessivamente ottimistico stimare in una decina di migliaia i posti di lavoro in gioco. Si tratterebbe per di più di una politica a “costo zero” e che consentirebbe di aprire nuovi orizzonti rispetto alle tradizionali modalità con le quali l’amministrazione pubblica si confronta con il proprio tessuto sociale. Perché non provarci?

 

Michele M. Monte

 

 

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