17 luglio 2013

musica


ALLA SOCIETÀ DEL GIARDINO

Già è difficile commentare negativamente un concerto stando attenti a non ferire più del necessario e a non mortificare la dignità degli interpreti; se poi questi sono delle signore giovani e belle (in un’epoca in cui tutti sanno quanto sia politicamente corretto stare sempre dalla parte delle signore); se poi viene eseguita musica di Haydn e di Schubert (in un ambiente elegante come quello della Società del Giardino di Milano); se poi la serata è a inviti e si viene accolti da due gentili signori come i Presidenti del Giardino e delle Serate Musicali (e alla fine gli viene anche offerto con un raffinato rinfresco); come si fa in queste condizioni a dire che il concerto non ha funzionato?

Nonostante le premesse, dobbiamo provarci; vediamo come. Suonava il Jubilee String Quartet, nato a Londra presso la Royal Academy of Music nel 2006 e composto dalle violiniste Tereza Privratska e Alanna Tonetti-Tieppo, dalla violista Stephanie Edmundson e dalla violoncellista Lauren Steel alle quali si è aggiunto, nella seconda parte del concerto, il violoncellista Frieder Berthold. Tutti e cinque conoscono bene l’Italia perché vi hanno già tenuto diversi concerti e il Quartetto vi ha anche vinto dei premi, come il Concorso Internazionale della Val Tidone di due anni fa; tuttavia ci è parso di capire che l’altra sera fossero tutti al loro debutto milanese, felici della cornice da sogno che li accoglieva.

Hanno eseguito il poco noto Quartetto opera 54 numero 2 di Haydn e il ben più famoso Quintetto con due violoncelli opera 163 (D 956) di Schubert, entrambi nella solare tonalità del do maggiore. Il primo, appartenente alla produzione della maturità di Haydn, fu pubblicato nel 1787 insieme a un gruppo di dodici Quartetti di cui sei, opera 50, dedicati a Federico Guglielmo II di Prussia, e gli altri sei, con i numeri d’opera 54 e 55, dedicati al dilettante violinista viennese Tost da cui presero il nome; il Quintetto è stato scritto da Schubert quarant’anni dopo, nel settembre 1828, poche settimane prima della morte – che, ricordiamo, è sopravvenuta quando aveva solo trentuno anni – ma eseguito per la prima volta ben trent’anni dopo.

Il Quartetto – che non dimentichiamo essere stato praticamente “inventato” da Haydn che ne ha scritto addirittura un’ottantina! – riflette lo stile concertante e il carattere brillante e virtuosistico dell’epoca, ma non fa mancare quella sorta di “conversazione” a più voci che è il carattere fondante di questo genere musicale. A noi è sembrato che il Jubilee String Quartet abbia invece privilegiato – anche in modo plateale – il carattere rococò che allora dominava la corte degli Esterházy ed al quale il loro già celebre Maestro di Cappella cercava disperatamente di sottrarsi (era già un maturo cinquantenne, amico e compagno di loggia massonica del più giovane Mozart con cui si confrontava). Ne è derivata una lettura scolastica e leziosa, dovremmo dire stucchevole, che non scavava minimamente in quella straordinaria ricerca dell’innovazione che non è mai mancata alle opere del grande Maestro austriaco.

Venendo a Schubert, del quintetto con due violoncelli in do maggiore scrive Carlo Marinelli (su “L’Orchestra virtuale del Flaminio”) che è “universalmente considerato il capolavoro strumentale di Schubert. Tutti ne hanno sottolineato la concezione orchestrale più che cameristica: l’ampiezza delle sue dimensioni e l’arditezza di certe modulazioni spiega il lungo oblìo e il misconoscimento dei contemporanei. Einstein si è soffermato sul trattamento particolare riservato al secondo violoncello che, a differenza del primo, ha una funzione di sostegno, quasi fosse un contrabbasso.”

Ebbene, con grande sconforto dobbiamo confessare di non esserci accorti – pur avendo a memoria i magnifici temi e quelle particolari, dolcissime prolissità – di ascoltare il famoso capolavoro schubertiano; la mancanza di grazia, di leggerezza, di poesia, in una parola l’assenza di ispirazione e di idee, ne ha appiattito l’esecuzione e l’ha resa sostanzialmente noiosa.

E rendere noioso Schubert non è proprio semplice; bisogna non lasciarsi trascinare dall’onda delle sue melodie, non provare quelle emozioni adolescenziali che straripano da ogni sua nota, non capire cosa è accaduto nel mondo della musica in quel breve periodo che è seguito alla morte di Beethoven e preceduto la comparsa sulla scena di Schumann e di Mendelssohn.

Un vero peccato perché l’occasione era ghiotta, l’ambiente perfetto, le intenzioni le migliori possibili.

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti