10 luglio 2013

CERBA O NON CERBA?


Il professor Umberto Veronesi quasi un decennio fa propose la realizzazione del Centro Europeo di Ricerca Biomedica Avanzata (CERBA), un Centro multidisciplinare per l’oncologia, la cardiologia, la neonatologia e le neuroscienze, dotato di una piattaforma tecnologica comune, nel quale integrare ricerca sperimentale e clinica, servizi terapeutici e diagnostici e strutture per la cultura scientifica. Un’idea, va riconosciuto, non dettata da megalomania, ma dai cambiamenti intervenuti nelle conoscenze in campo biomedico, a partire da quelle del genoma, come ha spiegato molto bene in più occasioni il Direttore Generale del Cerba, Maurizio Mauri.

Nell’era della medicina molecolare che fornisce la più avanzata chiave di interpretazione per le diverse patologie, infatti, l’attuale separazione specialistica ha molto meno senso, così come non ha più senso una suddivisione rigida tra luoghi di ricerca e cura, di didattica e accoglienza, come dimostra l’organizzazione dei più avanzati centri di ricerca a livello mondiale. Medici, ricercatori e tecnologi, condividendo spazi e attrezzature, sarebbero naturalmente indotti a integrare le loro conoscenze. Inoltre, dal punto di vista pratico, la possibilità di condividere piattaforme tecnologiche di altissimo livello ma di costo elevato rende fattibili progetti altrimenti proibitivi dal punto di vista economico.

Si tratta di un’affermazione in via teorica difficilmente contestabile ed è a quel livello che andrebbe sviluppato il confronto per capire se il Cerba è davvero la risposta migliore per affrontare lo scenario delineato. Senza farsi deviare nel dibattito dai tentativi, prima di Salvatore Ligresti e poi delle banche che hanno acquisito i terreni su cui realizzare il progetto, di utilizzare furbescamente il Cerba per accrescere il valore immobiliare del loro investimento. In concomitanza, infatti, dovrebbe essere realizzata a Sesto San Giovanni, partendo dal trasferimento delle attuali sedi dell’Istituto Besta e dell’Istituto Nazionale dei Tumori, la Città della Salute e della Ricerca, che tra le sue motivazioni presenta diversi punti di contatto con il progetto di Veronesi.

La prima domanda riguarda il senso e la sostenibilità della contemporanea realizzazione dei due progetti, stante i tempi di crisi dei bilanci pubblici che perdureranno ancora per molto tempo. I sostenitori del Cerba sottolineano che i costi di realizzazione saranno interamente a carico dei privati, tacendo però sul fatto che gli ingenti costi annuali della gestione operativa saranno poi inevitabilmente e quasi interamente a carico delle finanze pubbliche regionali e nazionali.

In opposizione ai due progetti, a partire da queste ultime considerazioni legate alla sostenibilità dei costi, sono schematicamente riconducibili due argomentazioni. La prima, che ha ben presente l’importanza della ricerca, sia nel quadro della competizione internazionale, sia anche nel perseguimento della sostenibilità dell’organizzazione dell’assistenza sanitaria nel futuro medio periodo, sostiene che la concentrazione fisica della ricerca non è l’elemento determinante del suo successo. Le notevoli competenze presenti nei centri di ricerca biomedica presenti a Milano e nella sua area metropolitana, grazie anche alle moderne tecnologie di comunicazione, potrebbero essere ugualmente valorizzate finanziando progetti in collaborazione, definiti in base a precise priorità, mantenendo le attuali collocazioni.

La seconda, invece, pone l’accento sulla necessità che le risorse aggiuntive (scarse) per investimenti, di cui dispongono il Sistema sanitario regionale e quello nazionale, vengano indirizzate verso la medicina territoriale che, soprattutto a partire dall’esplodere delle patologie legate all’invecchiamento della popolazione, risulta essere la vera priorità. A rafforzare questa posizione, vengono portati come esempi alcuni investimenti per la recente realizzazione di nuove strutture ospedaliere, giudicati inutili o eccessivi rispetto alle esigenze di un’oculata programmazione sanitaria regionale. Una posizione che, a chi scrive, pur condividendone alcuni aspetti, ricorda molto, dal punto di vista del metodo, il dibattito degli anni ’70 sui tram (di sinistra) e la metropolitana (di destra).

In questo quadro da cui dipende in misura non secondaria il futuro della ricerca biomedica italiana emerge l’assenza di una riflessione, comune o singola, delle Istituzioni. Governo, Regione Lombardia e Comune di Milano per il momento preferiscono giocare di rimessa sul problema del Cerba, ma finora non si sono assunti la responsabilità di aprire un dibattito pubblico chiamando al confronto le migliori competenze, per arrivare a individuare la scelta più utile, in termini di costi/benefici.

I modelli virtuosi a livello internazionale, da cui trarre utili indicazioni per massimizzare contemporaneamente le risorse destinate alla ricerca e alla cura, non mancano. Tenuto conto che la gran parte delle risorse finanziarie sono comunque messe in campo da ‘Pantalone’, non dovrebbe essere impossibile far convergere e collaborare, in alcuni casi realizzando una vicinanza fisica, i Centri di ricerca pubblici e privati.

Il Comune di Milano, in particolare, pur non avendo competenze dirette, e soprattutto capacità di spesa, in materia di ricerca e assistenza sanitaria, ha tuttavia di fronte una grande responsabilità politica, perché è indubbio che, Cerba o non Cerba, il tema della ricerca biomedica, a partire dalla salvaguardia e dallo sviluppo di migliaia di posti di lavoro qualificati, riguarda non poco il futuro di Milano e della sua area metropolitana. Contribuendo, in tal modo, anche a invertire la fuga di tanti cervelli che si formano nelle Università cittadine con un grande investimento di risorse pubbliche.

 

Sergio Vicario

 



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