10 luglio 2013

MILANO INFRASTRUTTURE: IL BELLO CHE NON SI VEDE


Percepire la bellezza dietro la patina del tempo, soprattutto se non è laddove te la aspetti, è difficile. Bisogna avere intuito, fantasia, sguardo obliquo. E nella fretta con cui ci muoviamo, alziamo gli occhi solo di rado, non scorgiamo il valore degli oggetti che fanno la città. Così, a Milano, ci sono tesori che rimangono nascosti nell’abbandono. Sono gioielli periurbani, che stanno fuori dal centro, fuori dai canoni, nati non per essere belli ma per servire, e che aspettano di essere riscoperti, di tornare alla vita.

Un caso clamoroso è l’emozionante Stazione di Servizio di piazzale Accursio, progettata da Mario Baciocchi per l’AGIP all’inizio degli anni ’50. Anche oggi, vuota da anni dopo aver visto al lavoro meccanici e gommisti, colpisce per la sua linea e la sua personalità, perfettamente adagiata nel cuneo tra viale Certosa e viale Espinasse, come la prua di un transatlantico, maestosa e fiera, bellissima. Potrebbe ospitare qualsiasi funzione (che ne rispettasse la monumentalità) pubblica o privata. Forse è giustamente protetta. Ma il vincolo non può giustificare l’incuria e non deve indurla. ENI, tuttora proprietaria della Stazione di Servizio, lo scorso anno ha avviato con il Politecnico di Milano un laboratorio di progettazione , ma ancora non si vedono segni concreti di recupero. Sono certo che se tornasse a vivere renderebbe felici i suoi estimatori, migliaia, che la lumano passando.

Un altro tesoro dormiente, questa volta enorme ma ancora meno percettibile, sta alle spalle della Stazione Centrale, proprio sotto i binari. Incastrati nel lungo terrapieno realizzato all’inizio degli anni ’30, che termina in una goccia sospesa tra Greco e viale Monza, ci sono centinaia di spazi, in massima parte vuoti. Sono i Magazzini Raccordati, chiamati così perché serviti da due tunnel ferroviari che corrono nel terrapieno. Un interporto urbano che fino a vent’anni fa brulicava di attività: pesce, olio, vino, merci di ogni genere. Beni che arrivavano col treno e ripartivano coi carri, poi con i camion. Chi non ne conosce la storia, fatica a vedere oltre i muri grigi e sporchi che costeggiano via Ferrante Aporti e via Sammartini, a due passi dalla Martesana, e non sa che lì dietro ci sono 40 mila metri quadrati in fremente attesa, un altissimo grattacielo sdraiato che oggi ospita qualche locale (il Tunnel, lo Shanghai), superstiti ristoranti di pesce crudo all’italiana, venditori di surgelati.

Poco o niente, in confronto alle straordinarie potenzialità, gridate da un gruppo di abitanti del quartiere. L’8 e il 9 giugno, insieme al Consiglio di Zona 2 e al Comune di Milano, in collaborazione anche con la proprietà (Grandi Stazioni), il Gruppo FAS (Ferrante Aporti-Sammartini) ha dato vita a una due giorni di ri-animazione dei Magazzini; nonostante la solita pioggia di quest’estate milanese, sono accorsi in migliaia a visitare il retro della Centrale, a scoprire la sua storia ottimamente raccontata in una mostra allestita all’81bis (è il numero del Magazzino che la ospitava), a conoscere i desideri degli scolari della Scuola Ciresola di via Venini (erano stati ospitati anche all’Urban Center sotto la Galleria), a vedere il rifugio allestito dalla Caritas che ha sistemato il vecchio centro di Fratel Ettore. Nei commenti dei visitatori dominava lo stupore per la scoperta di un mondo sconosciuto, proprio sotto i loro occhi.

Sono solo due casi milanesi, a cui potrebbero esserne aggiunti moltissimi, urbani e metropolitani, decine di spazi nascosti sotto i viadotti ferroviari e stradali, sotto alle tangenziali, le centrali elettriche, i tunnel vecchi e nuovi; infrastrutture che attendono di essere riscoperte, riportate alla vita, risignificate e riutilizzate, abitate da nuove funzioni. Risparmiando magari, come chiede la nuova legge e il buon senso, nuove edificazioni.

È già successo, proprio a Milano, con grandi infrastrutture funzionali come i Navigli e la Darsena. Oggi celebrati per il segno caratteristico che danno ai quartieri attraversati, ma – penalizzati dai loro umili natali da canali irrigui e per il trasporto merci – per tutto il ‘900 sono stati una vergogna da nascondere, cui girare le spalle, scoli a cielo aperto da coprire.

Così è successo anche in altri grandi centri, come a New York, dove l’High Line, una linea ferroviaria sopraelevata che portava le merci nei magazzini pluripiano vicini al fiume Hudson, è stata salvata dalla distruzione e restituita a nuova vita di parco lineare pensile, grazie soprattutto all’azione di cittadini visionari. Lo stesso destino che ha avuto a Parigi il Viaduc des Arts, un rilevato ferroviario della metà dell’800 dismesso negli anni ’70, trasformato in una passeggiata verde di un chilometro e mezzo in rue Daumesnil, alle spalle della Gare de Lyon; sotto il giardino, 54 grandi arcate ospitano altrettanti negozi di artigianato.

Prima della loro rinascita, l’High Line e il Viaduc des Arts erano solo infrastrutture dismesse, fonti di degrado urbano. Sono diventate occasioni per reinventare lo spazio urbano. Milano – come ogni grande città – ne è piena, di degrado e di occasioni. C’è n’è abbastanza per far partire una caccia al tesoro.

 

Fabio Terragni

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