10 luglio 2013

HACK. OMAGGIO ALLA “AMICA DELLE STELLE


Nessuna passione particolare per le materie di studio dei primi anni del liceo, ‘bestia nera’ la filosofia, in cui paradossalmente ebbe otto, non capendo nulla e sei in matematica e fisica che erano il suo forte. Ma le bastò una sola ora di lezione, peraltro tenuta da un famoso critico letterario, per decidere che la facoltà di Lettere decisamente non faceva per lei. Non trovò ostacoli in famiglia e così Margherita si iscrisse a Fisica per cui si sentiva certamente più portata. Si divertiva ad armeggiare in laboratorio, a smontare e rimontare cose, come era sua abitudine anche con la bicicletta e con il meccano.

Un corso per pochi quello di Fisica nell’anno accademico 1940-41: tre ragazzi e tre ragazze. Margherita richiese una tesi in elettronica, ma il direttore dell’Istituto gliene propose una in elettrostatica: argomento secondo lei vecchio e poco stimolante. Dopo due sole settimane di lavoro sulla bibliografia, decise di cambiare. Allora non c’era la scelta ampia e talora disorientante che uno studente universitario si trova di fronte oggi e l’argomento che fra tutti poteva attirarla era l’astronomia.

La tesi presso l’Istituto di Arcetri le fece scoprire il significato della parola ‘ricerca’ e non le ci volle molto per capire che l’appassionava e che avrebbe continuato a farla per il resto della vita. Una tesi preparata durante la Seconda guerra mondiale facendo osservazioni con il telescopio sulla terrazza dell’Osservatorio – dove cadevano continuamente schegge di colpi di artiglieria – e scritta alla luce di un lume a petrolio, perché a casa non c’era l’elettricità.

Dopo la laurea dieci mesi di lavoro nel reparto di ottica della Ducati: un lavoro noiosissimo. L’industria non faceva per lei, che voleva a ogni costo far ricerca. Appena fu possibile tornò part-time all’Osservatorio e finalmente ebbe l’incarico di assistente e poi la libera docenza, l’equivalente dell’odierno dottorato. Osservatori di Arcetri, di Brera, di Merate; le osservazioni con il telescopio nelle notti serene, strumenti semplici e poco tecnologici, un anno di lavoro per fare ciò che oggi richiede pochi minuti. Non c’erano i computer e quindi si doveva fare a mano ogni singolo conticino. Poi l’incarico di professoressa ordinaria di Astronomia all’Università di Trieste: il giorno più bello della vita di Margherita Hack.

All’Osservatorio di Trieste – fanalino di coda dell’astronomia italiana – trovò una situazione drammatica, poco personale e un ‘telescopino’ paragonabile a quelli con cui oggi giocano i ragazzi, niente a che vedere con i megatelescopi di oggi. L’ambiente però era scientificamente vivace e la tenacia di Margherita venne fuori anche questa volta. Non le mancò la determinazione di rimboccarsi le maniche per raddrizzare le cose e il piglio della giovane direttrice. Da un unico studente a numeri significativi di scienziati accreditati a livello europeo e internazionale; seppe dare all’osservatorio strumentazione innovativa, gruppi di ricercatori specializzati in spettografia stellare, in galassie e in radioastronomia stellare, ben collegati ai circuiti della ricerca internazionale. Grazie alla sua visione lungimirante l’Osservatorio di Trieste è decollato dalla marginalità alla ribalta internazionale in vent’anni.

Un unico rimpianto: “se fossi nata cinquant’anni più tardi avrei potuto fare molto di più sul piano scientifico grazie alla tecnologia”. Margherita Hack, donna degli anni Venti, è comunque riuscita a diventare un’icona dell’Astrofisica.

 

Rita Bramante

 



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