3 luglio 2013

CARO PISAPIA, FORSE LA “FORZA GENTILE” NON BASTA


La vicenda degli olmi di via Mac Mahon viene dal passato ma deve insegnare qualcosa per il futuro. Non si sa ancora bene come andrà a finire ma se la soluzione è di abbattere “solo” le piante malate non capisco che diavolo di soluzione sia: non c’è niente di peggio che l’aspetto di un viale alberato con una sua simmetria e un suo cannocchiale di verde orbato qua e là di qualche pianta. Bisogna tagliare avendo già in mente quale sarà il disegno successivo che, ovviamente, non può essere solo la messa dimora nello stesso posto di piante giovani che a lungo andare colle loro radici riproporrebbero il problema, perché come dice ATM, quelle radici con il loro vigore sollevano le traversine.
Era tutto inevitabile? No. Se interpellate un qualunque agronomo, vi dirà che le dimensioni delle radici sono proporzionali alla chioma di ogni albero e che se si fosse provveduto ad attente potature annuali oggi non ci troveremmo nei pasticci.

Certo, costa caro, ma a lungo andare meno della rimozione dei binari o della risistemazione dei marciapiedi. Dunque chi aveva in cura il verde poteva benissimo prevedere quel che è successo ma non ha provveduto: i binari del tram non sono cosa sua. Non sono cosa sua i cordoli dei marciapiedi che hanno lo stesso destino dei binari del tram. Non sono cosa sua i sottoservizi – fognature, tubi del gas, acquedotto, cavi elettrici e telefonici, fibra ottica – che passano vicino alle radici delle piante. È stato sempre così? Non lo so ma non credo.
Secondo me le cose si sono messe male a partire dal secondo dopoguerra: prima un inevitabile affrettata ricostruzione, poi uno sviluppo urbanistico in grado di travolgere piani regolatori e che consegna la città in mano agli operatori immobiliari, poi un lungo periodo durante il quale ogni assessore comunale considerava il suo assessorato un feudo. Di disegno complessivo della città inutile parlarne. Ma se è mancato il disegno a scala urbanistica, figuratevi se mai vi è stato disegno a livello di dettaglio del manufatto città e del suo arredo e ancor meno del sistema del verde. Il verde a Milano ha scatenato anche vere follie: vi ricordate la 500 con dentro un albero ideata da Fabio Novembre?
Correva l’anno 2009, governava Letizia Moratti: la grande idea dei vasi in via Vittor Pisani – operazione chiamata “Miracolo a Milano” – aveva sollevato entusiasmi, come gli alberi di Abbado e quelli in piazza del Duomo. La vita degli alberi a Milano nasce sempre male. Ricordo come fosse ieri il restyling di piazza Duca D’Aosta mentre gli invasi destinati agli alberi venivano per metà riempiti di macerie edili e solo in superficie di terra di coltura. E oggi? Non so ma l’articolo di Elena Grandi del numero 23 del nostro giornale non lasciava presagire nulla di buono. Di recente nel rialzare i marciapiedi ho visto ricoprire il colletto delle piante, la parte che separa le radici dal tronco: si ammaleranno. Potrei allungare gli esempi, non solo riguardo al verde ma il verde milanese e l’arredo urbano in generale sono la spia di un’amministrazione a dir poco scoordinata nelle sue articolazioni.
Qualche speranza. Recentemente, purtroppo nella disattenzione generale degli addetti ai lavori, è stato approvato il PUGSS – il Piano urbano generale dei servizi del sottosuolo – un documento molto interessante che parla non solo di sottosuolo e delle sue reti ma anche del soprassuolo, di arredo, di trasporti e di molto altro. Chi lo leggesse penserebbe di trovarsi in un altro Paese, in un’altra città. A chi compete la sorveglianza perché a quel che è scritto segua la realtà? A chi spetta il coordinamento del tutto?
Guardando l’ordinamento del nostro Comune non l’ho trovato e non vorrei che, come tutte le funzioni non esplicitamente assegnate, andasse in capo al sindaco. Prima di chiudere una notazione: la sosta di motociclette e motorini in Piazza Meda. Per impedirne il dilagare si pensa di mettere delle panchine: la strategia dell’interdizione. Quanto spende il Comune tra pali, paline e catenelle per impedire la sosta selvaggia? Quanto ci costa la maleducazione dei nostri concittadini? Forse se si pubblicassero le cifre, qualcuno guarderebbe ai villani con più disapprovazione e non avremmo una città ridotta a una selva d’interdittori. Come questi altri problemi richiedono interventi soprattutto nei confronti della macchina comunale: con lorsignori la “forza gentile” probabilmente non basta.

Luca Beltrami Gadola

 



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