3 luglio 2013

FORMAZIONE E ORGANIZZAZIONE: UNA STORIA DI OGGI


Vorrei raccontare una breve storia: si tratta di un “caso” di “community building” e di condivisione di saperi ed esperienze, oltre i confini e le appartenenze. Organizzato dalla redazione di Dialoghi, rivista di studi sulla formazione e sullo sviluppo organizzativo, con il patrocinio del Comune di Milano, nella splendida cornice della Sala Grechetto di Palazzo Sormani si è svolto l’1 luglio scorso un convegno – appuntamento ormai annuale – dedicato alla cultura della formazione e al resoconto di esperienze significative di progetti di sviluppo organizzativo e delle competenze, con particolare riferimento ad alcune realtà pubbliche milanesi (ASL di Milano e Comune di Milano): un’iniziativa strettamente legata allo spirito della rivista.

Fondata a Milano nel 2010 come semestrale cui poi si sono aggiunti i numeri monografici e, da quest’anno, una sezione dedicata a racconti legati al mondo del lavoro e delle organizzazioni, la rivista è caratterizzata da libertà di accesso, collaborazione e reciprocità.

Perché nasce Dialoghi? Il campo della formazione degli adulti e della consulenza organizzativa, ibrido per vocazione – vi convergono diverse discipline, dalla psicologia alla sociologia, alla pedagogia, alle scienze dell’organizzazione fino a quelle economiche e politiche – è stato caratterizzato, come molti altri in questi anni, da una forte “specializzazione”, anche come strategia di differenziazione dell’offerta sul mercato da parte delle società di consulenza. Questo ha un po’ limitato, crediamo, la visione d’insieme che, sola, consente di comprendere la complessità delle organizzazioni – i meccanismi di governo, le storie, le culture –, dei processi di cambiamento, delle modalità di gestione e valorizzazione del Personale: tutti aspetti oggi più che mai centrali, in cui la formazione dovrebbe assumere un ruolo strategico. Dialoghi nasce in risposta a tale frammentazione, marcando una vocazione pluridisciplinare e mettendo al centro il confronto tra approcci, chiavi di lettura e attori diversi.

Come? Innanzitutto “liberando” il progetto dai vincoli formali: Dialoghi non è legata ad alcuna specifica organizzazione e gli Autori che vi scrivono operano nei contesti più diversi (in qualche caso anche in concorrenza tra loro) e con i ruoli più distanti; le uniche discriminanti (e condizioni perché rimanga una rivista di studi e non altro) sono il valore dell’argomentazione e il recupero del senso critico: ogni scritto è frutto di una riflessione approfondita fondata su prassi progettuali o riferimenti teorici. In compenso (o, per meglio dire, “per reciprocità”) gli articoli sono disponibili a tutti e chiunque può consultarli liberamente sul sito (la rivista è “open access”) riprodurli, distribuirli, a condizione che tali utilizzazioni avvengano per finalità di uso personale, studio, ricerca e non per finalità commerciali: sono, insomma, patrimonio comune.

Questa non-appartenenza – che, lungi dall’ostacolare, ha facilitato la collaborazione con altre Istituzioni ed Enti – marca anche il campo disciplinare, dal momento che vi scrivono professionisti di “estrazione” diversa. Una caratteristica significativa riguarda le modalità di scambio: il “dialogo” è garantito da un sistema di “commenti” (anche critici) agli articoli pubblicati; non semplici “post” – forma che non sempre garantisce un elevato livello di argomentazioni –, ma veri e propri “piccoli saggi”, utili ad arricchire i diversi punti di vista, nel rispetto (fondamentale) delle diverse identità.

Infine, la diffusione del progetto – in tutta Italia e ora anche in altri paesi – passa attraverso l’utilizzo della rete, quella reale (intesa come insieme di legami consolidati e ampliabili, più che nel senso “tecnologico” e oggi à la page del termine), che transita da relazioni di prossimità professionale, di esperienze lavoro comune, di incontri tra professionisti e si estende agli attori sul territorio, alle Università, agli Enti Pubblici.

In questo percorso di costruzione di un patrimonio di saperi condiviso non sono mancate le difficoltà, insiste proprio nelle differenze disciplinari, organizzative, di esperienze. Gli autori sono chiamati a sottoscrivere un “patto”: spogliarsi, in qualche misura, del proprio status, “sospendere” la propria appartenenza per rendersi disponibili a dialogare in nome dei contenuti con chiunque abbia qualcosa di significativo da dire. Non sempre tale processo è stato agevole né l’impegno a una convivenza professionale facile, ma noi pensiamo che sia un obiettivo percorribile e realistico.

 

Elena Sarati

 

 



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