3 luglio 2013

MILANO PARTECIPAZIONE: UNA PROPOSTA


Ho letto l’interessante analisi di Adriana Nannicini sul percorso dei Tavoli delle donne, liberamente costituitisi nel 2011 su invito della presidente della Commissione Pari Opportunità, Anita Sonego. Le questioni toccate sono numerose e meriterebbero di essere discusse in un ampio dibattito. Qui io mi limito solo a qualche osservazione. Nati sull’onda dell’invito a praticare forme di cittadinanza attiva e democrazia partecipata, i Tavoli probabilmente hanno risentito della difficoltà a sperimentare forme nuove di rapporto politico di cui molto si sta parlando ma su cui poco si sta riflettendo, soprattutto dal punto di vista di genere.

Quale fosse la natura dei Tavoli, quali i soggetti in campo e a che titolo, quale dovesse essere il rapporto fra i Tavoli e l’Amministrazione cittadina, tutto ciò resta secondo me un oggetto vagamente misterioso, nonostante i tentativi di interrogarci in proposito fermatisi quasi sempre alle domande, come anche Adriana Nannicini sottolinea in alcuni punti del suo intervento. Nell’insieme, penso che abbiamo vissuto quest’esperienza come una sfida anzitutto a noi stesse che ci siamo addentrate in terra incognita, uno spazio di “altra politica”, nella pratica tutto da inventare (di teoria invece ne esiste moltissima, e si potrebbe risalire fino all’Ottocento per trovare l’origine di questo filone di pensiero).

Probabilmente, le nostre aspettative rispetto al senso di questo esperimento erano molto diseguali, e molto vaghe le idee in tema di partecipazione. Per alcune, già l’ascolto da parte delle istituzioni sembrava costituire un esito sufficiente, per altre l’obiettivo era quello di vedere accolte e realizzate specifiche proposte, rimaste lettera morta nonostante fossero “a costo zero”, come dice Adriana, e fossero anche state valutate molto positivamente per i loro contenuti. Ma basta questo a segnare un cambio di passo nei rapporti con le istituzioni? Oppure manca qualcosa per mettere in atto la radicale innovazione implicita nell’invito iniziale? Peraltro, momenti di confronto ravvicinato fra istituzioni e cittadinanza li abbiamo già vissuti, nella storia di questa città (penso ad esempio alla Consulta cittadina per l’immigrazione a metà degli anni Ottanta).

Oggi dobbiamo andare oltre. Si tratta di dare corpo a un cambiamento profondo nel modo di governare la città, riconoscendo l’esistenza di una nuova soggettività civica che abbia diritto non solo di essere ascoltata ma anche di contare nel momento in cui si fanno le scelte. Cosa può essere una “soggettività civica”? Penso a cerchie di persone capaci di darsi autonomo riconoscimento e di coordinarsi per dialogare con il governo cittadino, persone ricche di saperi derivanti dall’appartenenza al territorio e dalla conoscenza diretta dei problemi, persone sinceramente interessate al bene comune e, nel nostro caso, intenzionate a portare in ogni ambito una trasversalità di genere… .

Iniziare a costruire questa nuova sfera, mettendo in pratica piccole esperienze di democrazia partecipata, poteva essere appunto una delle sfide racchiuse nell’esperienza dei Tavoli, ma a conti fatti l’alchimia non è del tutto riuscita e le istituzioni si sono trovate per così dire prese alla sprovvista e poco attrezzate rispetto alla sfida che loro stesse avevano lanciato.

Se fosse riuscito il tentativo di dialogo trasversale fra i tavoli che abbiamo più di una volta cercato di sviluppare, sarebbe forse stato più facile mettere a fuoco il percorso di questo soggetto in costruzione ed “esportarne” il racconto all’esterno, alle altre donne, per un confronto più ampio e argomentato. È vero però quel che dice Adriana Nannicini a proposito delle partecipanti, più “esperte di genere” che non semplici abitanti del territorio. E questo potrebbe costituire un limite. Di fatto, due dei tre Tavoli si sono in pratica conclusi, anche se ne sono nate alcune iniziative che proseguono in autonomia la propria strada.

Diversa però è stata la vicenda del Tavolo Spazi, di cui faccio parte, così come dell’Associazione “Casa delle donne di Milano” costituitasi al suo interno, che ha di recente vinto il bando indetto dal Comune per la gestione della struttura di via Marsala 8 destinata a questo scopo, raggiungendo in tal modo un obiettivo concreto, lungamente atteso da molte donne di questa città.

Su questo punto, Adriana Nannicini pone domande e avanza alcuni dubbi. In particolare si chiede se il Tavolo Spazi a differenza degli altri due continuerà a sopravvivere, magari con altri scopi, e se l’esistenza di una Casa delle donne in qualche modo non rischierà di fagocitare “tutte le attività e intelligenze”. Sul destino del Tavolo Spazi stiamo ovviamente iniziando a discutere al nostro interno, e ci piacerebbe allargare il discorso alle donne degli altri Tavoli. Per quanto riguarda la Casa, mi limito a dire che secondo il nostro progetto dovrà essere uno spazio pubblico condiviso, un laboratorio interculturale permanente, un luogo di mescolanze e di incroci. Non quindi un luogo chiuso che concentra tutto al proprio interno, o che sostituisce la pluralità dei vecchi e nuovi luoghi di donne milanesi. Al contrario, pensiamo e speriamo che contribuisca a favorire il dialogo e le relazioni non sempre facili tra gruppi e associazioni femminili, ma soprattutto che riesca a diventare un punto di riferimento per le tante donne della città che semplicemente sentono l’esigenza di un luogo dove incontrarsi e sperimentare nuove possibilità e percorsi.

Quella che abbiamo immaginato noi è una Casa aperta e anche un po’ nomade, in contatto con realtà e situazioni nazionali e internazionali. I saperi delle donne sono sempre in costruzione attraverso l’incrocio di esperienze e pratiche che rompono confini fra lavoro e vita, fra pubblico e privato, fra interno ed esterno, abbattendo barriere a volte invisibili, ma potenti, che continuano a ostacolare un progetto di polis veramente partecipata dal punto di vista di genere. Sentirsi parte attiva in un progetto di città “bene comune” di chi ci abita, ma anche aperta al resto del mondo: la nostra sfida, con l’aiuto di tutte quelle che lo vorranno, potrebbe essere questa.

 

Floriana Lipparini

 

 

 



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