3 luglio 2013

RADUNI NEONAZI E LA MEMORIA DI MILANO


L’ordinanza del Comune di Milano contro la vendita di gelato dopo la mezzanotte, nei distretti della movida, ha avuto una coincidenza infelice con un raduno internazionale neonazista. Una decina di band hanno animato un rave party all’insegna di inni alla violenza, alla xenofobia e al razzismo nella periferia di Milano, tra i capannoni della zona industriale di Rogoredo.

Una periferia che non è tale perché vede una continuità con la conurbazione di cintura, San Donato e San Giuliano, ma che conosce una condizione di marginalità per le funzioni residuali pubbliche e private che contraddistinguono l’area intorno al nodo cruciale e prezioso costituito dalla stazione FS e dalla Metropolitana. Così si è passati dalle fabbriche abbandonate delle metropoli statunitensi da dove i primi rave sono nati alla marginalità periurbana milanese priva di una governance metropolitana.

Se oltreoceano e poi in Europa i rave volevano denunciare la condizione sociale di migliaia di operai disoccupati nei capannoni ora vuoti, qui i potenti amplificatori hanno scandito per ore elogi della razza e dell’estetica della violenza combinati con campionature elettroniche e sequenze ritmiche.

L’ordinanza anti gelato è il frutto di un “percorso partecipato con i commercianti, i residenti e i consigli di zona coinvolti” il provvedimento, già in vigore l’anno scorso, per pizzerie e venditori di kebab è stato esteso alle gelaterie, circa venti locali, con l’obiettivo di “dissuadere la formazione di assembramenti notturni sui marciapiedi” in determinati quartieri della città. La cosa stride con un raduno internazionale convocato per le vie digitali che si affolla nella marginalità urbana indefinita. Il mio non è un riflesso pavloviano da anni ’70, ciò che mi ha colpito è stato l’impossessarsi di un format che propone una ritualità collettiva da parte dei naziskin. Che nella mia città si pensi di vietare i gelati mentre si permette il rave party naziskin é allucinante.

Qui non siamo di fronte alla mascherata dei nazisti dell’Illinois ridicolizzati dai Blues Brothers, qui c’è un raduno ammantato di illegalità, una occasione di relazione sociale che usa un registro espressivo come quello musicale, apparentemente senza spartito e senza sceneggiatura ma ben orchestrato dagli organizzatori, a partire dalla scaletta dei gruppi “Corona Ferrea”, gli inglesi “Brutal Attack”, i “Garrota”, gli statunitensi Bully Boys statunitensi con i loro pezzi forti “White Pride” e “Hammerskins” ecc. Si tratta di una miscela pericolosa laddove si propone e diventa di identificazione generazionale, sarebbe colpevolmente miope sottovalutarla. Se un format come il rave party, che si rivolge ai giovani e risponde alla loro necessità di affermazione per contrapposizione e trasgressione, diventa un “merito” dei naziskin e costruisce una memoria e un immaginario parallelo la buffonata diventa un guaio, ben presto fuori dalla marginalità urbana.

L’amministrazione comunale di Milano laconicamente ha fatto sapere che “le autorizzazioni o le azioni preventive sono per legge di competenza della Questura e Prefettura. L’Amministrazione non ha quindi potestà di intervento diretto” un silenzio inane, poteva muoversi direttamente verso la Questura e la Prefettura. Io credo che Aldo “Iso” Aniasi si sarebbe mosso anche in direzione dei capannoni di Rogoredo.

 

Fiorello Cortiana

 



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