26 giugno 2013

GIOCO D’AZZARDO: IL COMUNE CONTRO LO STATO BISCAZZIERE E I SUOI SODALI


Chi di noi sosterà in un bar dotato delle famose “macchinette”, meglio definite come “slot machine”, in qualsiasi orario della giornata o della notte, si troverà a confrontarsi con una problematica strisciante che coinvolge, da qualche anno, Milano come tutta la nostra nazione. Persone di varie età (con prevalenza giovani e anziani) e di vari ceti sociali stazionano per decine di minuti davanti agli strumenti di gioco e investono parte del loro patrimonio nell’azzardo. Non si tratta dell’azzardo storico, con qualche puntata di numeri fortunati ai casinò – luoghi che, nel bene e nel male, hanno costituito la nostra storia recente, anche da un punto di vista cinematografico!- ma di un azzardo routinario e monocorde, senza alcun rapporto con terze persone, che fa spesso entrare in una paralisi mentale chiamata “dipendenza da gioco”.

Nel mese di aprile 2013, è nata a Milano una Rete di Coordinamento contro il gioco d’azzardo, che unirà esperti, associazioni e istituzioni impegnati nella lotta a questo fenomeno. L’assessore alle politiche sociali del Comune di Milano Pierfrancesco Majorino e il presidente della commissione consiliare antimafia David Gentili sono stati i fautori di questa neonata struttura territoriale che dovrà cercare di arginare una delle piaghe sociali più nascoste, ma più pericolose del nostro territorio.

Centocinquanta persone – componenti Asl, Onlus, Comuni limitrofi e realtà territoriali – hanno risposto all’appello di Palazzo Marino e hanno raccontato cosa fanno concretamente per arginare un fenomeno, il gioco d’azzardo patologico (Gap), che in Italia colpirebbe circa 800mila persone. La Rete prevede riunioni mensili di verifica sullo stato della problematica sul territorio e soprattutto proposte di modifica alla legge vigente, certamente molto liberale con gli esercizi pubblici che gestiscono le varie forme di gioco d’azzardo. Inoltre, saranno previsti centri d’ascolto rivolti in particolare a coloro che presentano forme di dipendenza da questo fenomeno, con l’ausilio di assistenti sociali e psicologi.

Il Comune ritorna a occuparsi di questa problematica dopo il tentativo, fatto mesi orsono, dell’ordinanza con cui imponeva anche alle sale scommesse di chiudere al pubblico al più tardi all’una di notte. La delibera è stata impugnata al Tribunale amministrativo regionale che ha dato ragione agli esercenti, riconoscendo loro libertà d’orario. Sono pertanto necessari altri strumenti per mettere i bastoni tra le ruote a chi vuole aprire un centro scommesse, come, ad esempio, limitazioni al numero dei parcheggi (sull’esempio di Reggio Emilia) ovvero delle forme di “promozione positiva” (sull’esempio di Parma), con la possibilità di apporre un “bollino qualità” agli esercizi commerciali che decidono di non avere al loro interno le “slot machine”. Ma la strada da fare è molto lunga e si scontra con coloro che di tale vizio fanno un vero e proprio business.

L’industria del gioco, la terza in Italia –si stima, stante l’enormità del sommerso- con circa 100 miliardi di fatturato, è una calamita per la malavita, che gestisce di fatto una considerevole parte del mercato, anche in forma indiretta a mezzo di prestanomi italiani e stranieri. Inoltre, la crescita di locali che gestiscono le fantomatiche “macchinette”, dal 2009 al 2011, è stata a Milano del 50%: l’anno scorso, nella sola città di Milano, si contavano 98 esercizi tra sale scommesse e lotterie, con un aumento del 24,1% rispetto ai dodici mesi precedenti (erano 79). Hinterland compreso, si passa da 131 a 156 sedi d¹impresa (+19,1%). È una crescita di gran lunga superiore alla media italiana del 9,6% (dalle 3.238 del 2011 alle 3.550 del 2012).

Certamente l’iniziativa di sensibilizzazione e coordinamento del Comune è lodevole e ha il merito di sollevare l’attenzione su un problema nascosto e che fa gola a molti, tuttavia ritengo che la vera possibile soluzione del fenomeno risieda in una riflessione sociale. Ovvero, occorre rendere le nostre realtà urbane più vivibili e più condivise, non lasciando che ampie fette di popolazione vivano nella solitudine fisica e morale.

Non è un caso che una buona parte dei “giocatori cronici d’azzardo” siano gli anziani, che spesso dilapidano la pensione proprio in questo vizio dispendioso. E, ci dicono gli operatori sul territorio, la molla che fa scattare questa dipendenza è da ricercare più in ragioni di solitudine personale che in ragioni strettamente economiche. Anche perché – i dati sopra riportati ce lo dimostrano- con il gioco d’azzardo tendenzialmente si perde! È proprio per questa ragione che occorre pensare a soluzioni di assistenza a livello sociale che concretamente aiutino le persone a maggior rischio dipendenza, con l’organizzazione di momenti quotidiani di condivisione e di incontro che tengano lontani i pensieri del gioco e della solitudine.

 

Ilaria Li Vigni

 



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