19 giugno 2013

“PATTO PER MILANO”: OGNUNO FACCIA (PRESTO E BENE) LA SUA PARTE


“…Bilancio fuori controllo!”, si grida dalla tolda della nave: e subito appaiono le immagini di Schettino, del Giglio, del gigante del mare ferito a morte. Insomma, l’Italia delle foto e dei titoli dei giornali. Nella volontà dei titolisti, infatti, “Bilancio fuori controllo” significa che “…l’Amministrazione non sa controllare il bilancio”, come Schettino non seppe condurre la nave; il pensiero espresso, alludiamo alle recenti dichiarazioni di Franco D’Alfonso, è, invece, che il quadro politico – normativo attuale non le consente di farlo, la differenza è notevole – ma i giornali hanno sempre giocato sulla differenziazione tra titolo e contenuto dell’articolo!

zenoni_23Lo stanno facendo forse troppo con l’Assessore al Commercio del Comune di Milano: da un “caso D’Alfonso”, sollevato per la denuncia della “solitudine” della Giunta e per l’espressione di una opinione sul suo scollamento dal Consiglio (realtà fisiologica nelle Amministrazioni Comunali da venti anni a questa parte), subito prefigurato come ulteriore episodio della “saga dei tradimenti e delle lotte intestine di questa maggioranza” (“… ci dica D’Alfonso se fa ancora parte di questa maggioranza!” – sic!), si passa ora al “bilancio fuori controllo”, che nell’immaginario collettivo della sinistra unanimista suona certamente come una ammissione di impotenza politica o addirittura come un cambio di campo.

In realtà l’unico soggetto nei confronti del quale D’Alfonso dichiara il suo disaccordo è Mario Monti; non il Sindaco Pisapia o l’Assessore al Bilancio o il PD milanese o l’esperienza arancione! Purtroppo, nelle reazioni che seguono le rare esternazioni di qualche Amministratore, spesso incorniciate dal silenzio tartufesco di tutti gli altri, l’episodio rischia di contribuire a complicare una situazione già complessa. Ma D’Alfonso non chiede l’intervento di difensori d’ufficio, quanto di entrare nel merito del dibattito da lui sollecitato.

Per partire dalle “origini”, concordiamo con Marco Vitale sulla mancata esplicitazione di un’idea di città da parte di questa maggioranza e non è dicendo “…che AreaC funziona…” che si fornisce questa idea di città: lo si fa, invece, parlando del “patto per Milano”, in cui si prefigura un rinnovato contratto sociale tra pubblico e privato; ma perché questo “patto per Milano” non risulti una sterile formula alchemica o un artificio di marketing politico, bisogna che ognuno, nel proprio campo, “ci metta del suo”, in termini di idee, lavoro, energie, competenze.

Per chi lavora nell’ambito delle attività culturali risulta evidente che l’Ente Pubblico non può più esercitare il ruolo di committente e finanziatore unico delle iniziative; occorrono, e non è una novità, anche i privati. Resta il fatto, però, che chi si è formato alla scuola del pensiero e dell’azione di Paolo Grassi (tutta la generazione di teatranti che oggi lavora con funzioni di responsabilità nell’ambito milanese – da Carlo Fontana a Sergio Escobar, da Fiorenzo Grassi ad Andrée Ruth Shammah, da chi scrive a molti altri) non ha scelto questo mestiere in particolare per misurare la propria capacità di vendere idee teatrali all’imprenditoria cittadina. L’idea della cultura come pubblico servizio rimane centrale, pur se con differenti sfumature, nella nostra generazione.

Non sono abbastanza radicate, cioè, dal punto di vista tecnico e culturale, la vocazione e la capacità del teatro di “stare sul mercato” del finanziamento privato. La necessità è pertanto, anche nell’attesa di avvicendamenti generazionali ed endogene evoluzioni culturali, quella di immaginare un soggetto giuridico (che operi sotto il controllo pubblico e nel suo specifico interesse) in grado di riunire le energie economiche private della città, funzione che i teatranti, spesso, o non sanno interpretare o interpretano esclusivamente nel proprio specifico e privatissimo interesse di bottega, non rendendo di conseguenza un servizio culturale complessivo a Milano.

Si valuti, inoltre, che tuttora l’Ente Pubblico entra in difficoltà “tecnica” allorché debba contabilizzare delle sponsorizzazioni private (nella sostanza, delle entrate non presenti nel suo bilancio di previsione) a sostegno delle proprie attività, questo per confermare l’inadeguatezza di quel quadro politico – normativo cui l’Assessore fa riferimento.

Si pensa, quindi, nel disegno di “un patto per Milano” nell’ambito delle attività culturali, alla creazione di un soggetto in grado di assolvere a una “funzione politica”, quella di interpretare la domanda di cultura (teatrale e non solo) proveniente dalla collettività e organizzarne la risposta (quale altra è, se no, la funzione delle Amministrazioni locali?!), quindi in grado di esprimere un disegno complessivo di attività nell’interesse della città, grazie all’apporto degli operatori culturali cittadini e di sostenerlo politicamente presso l’imprenditoria interessata.

È un primo argomento di settore, tra l’altro non originalissimo, perché i Sindaci di sinistra di questa città lo praticarono fino a tutti gli anni Settanta, con gli strumenti, gli Enti e le persone che ricordiamo. Dopo non più. A meno che, sospetto difficile da abbandonare, il problema non sia proprio qui: nel fatto che, in generale e aprioristicamente, quella sinistra non abbia più diritto di cittadinanza e Emilio Caldara (e anche Franco D’Alfonso e altri con loro) siano ineluttabilmente unti dal medesimo e inemendabile peccato originale!

 

Paolo Zenoni*

 

*Docente di Discipline dello Spettacolo, Università degli Studi di Milano – Bicocca

 

 



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