19 giugno 2013

musica


 

CAVALLERIA RUSTICANA

Da qualche anno a questa parte La Verdi, verso la fine della stagione sinfonica e prima della stagione estiva, mette in scena – si fa per dire – un’opera lirica “in forma di concerto”, cioè senza scenografia e senza una vera e propria azione scenica. Anni fa fu il Trittico di Puccini, l’anno scorso fu l’Andrea Chénier di Umberto Giordano, quest’anno è stata la “Cavalleria rusticana” di Pietro Mascagni, anche perché del compositore e direttore d’orchestra livornese corre proprio nel 2013 il centocinquantesimo anniversario della nascita.

Già osservammo l’anno scorso che l’esecuzione in forma di concerto è straordinariamente interessante perché – se è vero che non fa godere appieno il grandioso e miracoloso spettacolo del melodramma – consente però di concentrarsi sulla musica tanto da farla sentire “nuova”, come fosse la prima volta, a chi l’ha sempre ascoltata a teatro.

Oltretutto la Verdi ha fatto un gran passo avanti quest’anno rispetto a quello passato, avendo fatto recitare ai cantanti – sul limitare del palcoscenico, davanti all’orchestra ma dietro al direttore, e con un minimo di regìa – una parte piccola ma essenziale per comprendere il significato dell’opera e per generare un pathos adeguato al suo ascolto.

La storia di Cavalleria rusticana è nota: Pietro Mascagni nasce figlio di un panettiere che non vuole fargli studiare musica e ciononostante diventa assai presto un direttore d’orchestra di rilievo internazionale. Nel 1895 già dirige una sua opera alla Scala, nel 1900 è il direttore del concerto per i funerali di Re Umberto I a Roma, subito dopo è chiamato a dirigere a San Pietroburgo e nel 1929 ha l’incarico ufficiale di rappresentare l’Italia alle celebrazioni per il centenario della morte di Beethoven! Ma è ancora un giovanotto ventisettenne, direttore dell’Orchestra Filarmonica di Cerignola nelle Puglie, quando vince un concorso di composizione (indetto dall’editore Sonzogno per un’opera in “atto unico”) con questo gioiellino tratto da una novella di Giovanni Verga; il quale, come si sa, se ne infuriò moltissimo, piantò all’autore e all’editore un grana giudiziaria per plagio e ottenne dal giudice un cospicuo risarcimento; come si vede il mondo gira sempre allo stesso modo ….

Curioso che un tale capolavoro abbia trovato scarsa eco negli altri lavori di Mascagni, nessuno dei quali è mai arrivato all’altezza della Cavalleria; tantomeno quell’infelice opera “Parisina”, scritta a Parigi insieme a Gabriele D’Annunzio, che nonostante la fama del librettista molto difficilmente riesce a entrare in repertorio!

Nonostante qualche buh al povero Turiddu (il tenore Paolo Bartolucci che – a parte l’insicurezza della voce e del fraseggio – non riesce a interpretare la complessità del dongiovanni popolano), il successo è stato sbalorditivo; applausi a non finire, soprattutto per la soprano Chiara Angella che, nella parte di Santuzza – peccatrice appassionata, pentita e vendicativa – ha dominato l’opera con la potenza della sua voce e la credibilità della recitazione (peccato che abbia una dizione poco curata e che non scandisca bene le parole), ma anche per il baritono Alberto Garzale che ha dato una bellissima voce – ma la recitazione lasciava invece un po’ a desiderare – al personaggio di Alfio, il marito tradito che diventa assassino. Ottime anche la soprano (che canta da mezzosoprano) Elena Lo Forte, nella parte di Lola moglie leggerina (non si poteva non apprezzare il suo bel décolleté) e traditrice, e la mezzosoprano Erika Fonzar (che canta da contralto) nella parte di Lucia, addolorata madre del malandrino.

Ma chi ha sorpreso più di tutti è stata la direttrice (il direttore?) dell’orchestra, la minuta ma grintosissima Zhang Xian che si è immedesimata a tal punto nella passionalità siciliana tardo ottocentesca da far dimenticare il fatto che una vita trascorsa fra Cina e Stati Uniti l’abbia messa assai poco a contatto, presumiamo, con quel tipo di sentimenti e di pulsioni. Una direzione calda e coinvolgente – peraltro molto ben assecondata dal coro preparato da Erina Gambarini – che ha trascinato il pubblico in un’orgia di amori, tradimenti, gelosie, vendette, che solo in quella Sicilia e in quell’epoca potevano scatenarsi con tanto ardore.

Indimenticabili sia il duetto nel quale Santuzza denuncia ad Alfio la tresca fra Lola e Turiddu “mentre correte all’acqua e al vento a guadagnarvi il pane, Lola v’adorna il tetto in malo modo!” sia il coro “Viva il vino spumeggiante nel bicchiere scintillante come il riso dell’amante mite infonde il giubilo“, due momenti carichi di tensione che la Xian ha descritto perfettamente penetrandone i risvolti più ambigui.

 

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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