12 giugno 2013

I PROGETTI SMARTCITY DI UNA CITTÀ DISORDINATA


Se volessi dar retta al rettore del Politecnico dovrei intitolare l’articolo “Smart City in a untidy city”. Solo inglese. Pur amando appassionatamente l’italiano sono rimasto in mezzo al guado e per chiarezza di lettura non l’ho intitolato “I progetti Città Intelligente in una città disordinata”. In ogni caso Smart City ormai è una locuzione consolidata quasi un marchio e per chi non ne fosse informato ecco una pillola di Wikipedia: «L’espressione “città intelligente” (dall’inglese smart city) indica, in senso lato, un ambiente urbano in grado di agire attivamente per migliorare la qualità della vita dei propri cittadini. La città intelligente riesce a conciliare e soddisfare le esigenze dei cittadini, delle imprese e delle istituzioni, grazie anche all’impiego diffuso e innovativo delle TIC* in particolare nei campi della comunicazione, della mobilità, dell’ambiente e dell’efficienza energetica..»

Non voglio dilungarmi e arrivo al sodo:  L’Unione Europea prevede una spesa tra i 10 ed i 12 miliardi di Euro da qui al 2020 per finanziare progetti che trasformino le città medie europee in Smart Cities. Il Comune di Milano ha selezionato 19 progetti tra quelli arrivati e li ha presentati in Regione con la speranza che qualcuno sia scelto e abbia la possibilità di venir finanziato. Speriamo. Sarebbero soldi piovuti dal cielo per far fare un passo avanti alla città. Ma dove atterreranno questi progetti avanzatissimi che dovrebbero migliorare le nostre condizioni di vita? Purtroppo in una città disordinata, disordinata nello spazio urbano percepito che circonda il cittadino ma anche il visitatore.

Non voglio qui scomodare i più noti studiosi del fenomeno di questa particolare percezione (Kevin Lynch, Jean Piaget tanto per citare qualcuno) ma vorrei guardare piuttosto agli studi che Kees Keizer e i suoi colleghi dell’università di Groningen hanno condotto sugli effetti del disordine urbano, dai vetri rotti nelle case abbandonate ai graffiti, all’immondizia abbandonata per strada: arrivano a concludere che persino la criminalità giovanile ne è una delle conseguenze. Lo spettro delle loro ricerche è amplissimo ma io vorrei limitarmi per ora a quel particolare disordine milanese che gli studiosi concordemente porrebbero a causa di nevrosi tipicamente urbane: il disordine dell’arredo urbano, delle pavimentazioni stradali e la morfologia dei relativi rilevati, della segnaletica stradale e di informazione al cittadino e di tutti i manufatti che tappezzano la città o invadono gli spazi pubblici.

Le ragioni per riflettere sono due: il benessere dei milanesi e l’immagine che vorremmo portassero con sé della nostra città i visitatori dell’Expo. Se questa riflessione porterà a un progetto di riordino urbano e alla sua realizzazione in occasione dell’Expo, questo sarà a mio avviso uno dei migliori lasciti dell’Esposizione: lascito di opere e di cultura. Faccio qualche esempio. Milano credo sia la città con una densità di interdittori del traffico (pali, archetti, panettoncini, doppi gradini anti scavalco, ….) la più alta del mondo. Una delle ragioni è l’assoluta intemperanza degli automobilisti ma va meglio gestito il conflitto tra automobili e pedoni: questi ultimi hanno il diritto di muoversi in spazi privi di ostacoli, possibilmente senza dislivelli inutili, senza essere costretti ad andare in fila indiana. Ritorna come sempre il problema dei pali: troppi, molti inutili, più di un terzo ben lontani dall’essere verticali. Va affrontato il problema delle pavimentazioni delle strade e dei marciapiedi.

L’assessore ai lavori pubblici invita i milanesi ad andare in via Lulli per vedere i nuovi manti stradali: si stanno sperimentando materiali che hanno dato ottimi risultati in Svizzera e in Germania. Credo che il vero problema non siano i materiali ma come sono usati. Se invece facessimo venire dei direttori dei lavori dalla Svizzera e dalla Germania non sarebbe una cattiva idea. Forse ci insegnerebbero come si mettono in opera pali, paline e semafori senza che pencolino disperatamente. Lo sappiamo fare anche noi ma occhio non vede …. . Gli esempi sono infiniti e la materia è ampia, affrontiamo il problema subito, perché il giungo 2015 è domani.

Vorrei davvero che potessimo sfatare un vecchio detto milanese che ci insegue dai tempi dell’amore di Stendhal** per i palazzi milanesi: “El de denter per el padrun e de foeura per el minciun”. Il di fuori è il nostro bene comune. Con le TIC ma anche senza le TIC*.

Luca Beltrami Gadola

*) Tecnologie di Informazione e Comunicazione

**) Disordine versus bellezza. La sindrome di Stendhal, detta anche sindrome di Firenze (città in cui si è spesso manifestata), è il nome di una affezione psicosomatica che provoca tachicardia, capogiro,  vertigini,  confusione  e  allucinazioni  in soggetti messi al cospetto di opere d’arte di straordinaria bellezza, specialmente se esse sono compresse in spazi limitati. La malattia, piuttosto rara, colpisce principalmente persone molto sensibili e fa parte dei cosiddetti “malanni del viaggiatore”. Forse gli stessi sintomi di fronte a straordinario disordine per il moderno residente e viaggiatore.

 

 

 



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