12 giugno 2013

LA MILANO MULTIETNICA VERSO UNA VERA INTEGRAZIONE


200 bambini in fila al Castello Sforzesco per ricevere la cittadinanza italiana simbolica, più di 500 mamme straniere in Sala Alessi per ritirare il diploma di lingua italiana, 40 persone che in Triennale si confrontano su progetti di didattica interculturale con l’Assessore all’Educazione, più di 100 passaggi in meno di due mesi allo sportello G.lab, raccontano che a Milano la strada del cambiamento è già tracciata, che inizia dalle scuole e rapidamente trasmette consapevolezza a un contesto più ampio attraverso la sensibilità delle donne e delle nuove generazioni.

I numeri sono significativi, così come la scelta di luoghi e percorsi istituzionali, e soprattutto la presenza costante dell’Amministrazione Comunale, che ascolta, testimonia e coinvolge nell’impegno concreto per una cittadinanza nuova, consapevole e inclusiva. Chi guida e rappresenta la città ha scelto di riconoscere apertamente il bisogno di appartenenza di chi ha origini lontane, a cominciare dai ragazzi nati o cresciuti in Italia da genitori stranieri, attraverso forti atti simbolici e dando visibilità e reputazione a esperienze in corso.

Il percorso per me è cominciato nel febbraio 2012, quando ho promosso insieme ad altri in Consiglio Comunale un ordine del giorno che chiedeva il riconoscimento della cittadinanza simbolica italiana ai bambini nati a Milano. Quell’ordine del giorno è cresciuto nel tempo, insieme alla mobilitazione nazionale sullo Ius Soli – grazie alla campagna di ‘L’Italia sono anch’io’, grazie al lavoro di sensibilizzazione di Unicef, e alle scelte di molti comuni italiani- e dopo l’approvazione in Consiglio, in breve tempo da piccolo atto simbolico nella giornata Internazionale dell’Infanzia, per ricordare che i bambini non hanno diritti diversi qualunque siano le loro origini, è diventato il 16 maggio cerimonia pubblica, giorno di festa celebrato alla presenza della ministra Cecile Kienge.

Un segnale forte per il Governo, il Parlamento, la politica tutta: non si può restare indietro ma affrettarsi a riconoscere che i bambini nati o cresciuti in Italia non possono più rimanere nel limbo del sentirsi cittadini italiani, senza esserlo veramente. Vedere classi di ogni età condividere e applaudire al riconoscimento raccolto dai compagni, conferma che la scuola è già il luogo dell’accoglienza delle diversità, della pluralità come risorsa, dove ci si sente parte della stessa comunità con gli stessi diritti, senza questionare sul ‘da dove vieni’.

Pochi giorni dopo, la tavola rotonda promossa da Connecting Cultures in Triennale sulle esperienze in contesti educativi multietnici, allarga la visione alle reti tra scuola e territori, coinvolgendo in uno scambio aperto competenze diverse, del mondo dell’Università e della Ricerca, del Terzo settore, della comunità scolastica, dell’Amministrazione Comunale, impegnate insieme nella ricerca di azioni utili a costruire nuove prospettive di cittadinanza a partire dalla comunità scolastica.

La scuola è il primo laboratorio dove creare modelli di interculturalità, luogo dove si può costruire la consapevolezza dei diritti di cittadinanza, integrandola nel programma didattico, per renderla comprensibile in tutti i suoi significati anche ai più piccoli. Questa consapevolezza è il presupposto indispensabile per passare dall’integrazione all’interazione, per costruire strumenti per ‘fare insieme’, come piani didattici specifici per i bambini arrivati da lontano capaci di ridurre i loro tempi di inserimento.

L’esperienze sviluppate grazie all’impegno di insegnanti, dirigenti, associazioni, saranno tanto più efficaci quanto più usciranno dai confini della singola scuola, entrando in una rete di scambi attivi e sarà fondamentale a questo scopo il potenziamento dei Poli Start, strutture territoriali che svolgono un ruolo di coordinamento per l’integrazione sui progetti interculturali, sia per la condivisione e programmazione a più mani delle azioni, sia per la costruzione di reti stabili in contatto costante.

Il passo da compiere, la vera sfida ora è quello di portare questi esperimenti di condivisione fuori dalla scuola nella quotidianità, per costruire alleanze solide con altre parti della comunità cittadina. L’Amministrazione deve andare oltre la mappatura dei bisogni, il coordinamento e la promozione delle esperienze, coinvolgendo da protagonisti i genitori stranieri e le nuove generazioni, non più invisibili ma partecipi del processo di interazione come cittadini attivi.

Aumentano infatti le famiglie di lingua araba che scelgono di iscrivere i propri figli alla scuola italiana, e soprattutto aumentano ogni anno le madri straniere che escono dalle loro case per frequentare nelle scuole dei loro figli corsi di italiano. Sabato 1 giugno, erano 400 le giovani donne, che, orgogliose del loro percorso di studi compiuto con il supporto di più di cento volontarie dell’associazione ‘Mamme a scuola” (nelle scuole “Rinnovata Pizzigoni, “L. Cadorna”, “Guicciardi – Bodio”), hanno ritirato il diploma di frequenza a Palazzo Marino, e il sabato successivo si sono aggiunti gli alunni e le alunne staniere che hanno seguito i corsi della Fondazione Verga. Felici di essere a Palazzo Marino, di ricevere dal Comune di Milano il riconoscimento al loro impegno, che insieme allo studio della lingua italiana, unisce la volontà di partecipazione attiva alla vita della comunità, come donne, madri, cittadine.

L’apertura di Glab nel centro di Milano, laboratorio di cittadinanza per i ragazzi figli di coppie straniere, struttura all’interno dell’Istituzione, voluto dall’Assessorato delle Politiche Sociali, e finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, è un’altra tappa del percorso verso la cittadinanza inclusiva. Uno spazio fisico e on-line, che dà voce e strumenti alle potenzialità straordinarie di coinvolgimento che le nuove generazioni hanno verso i loro coetanei; luogo di informazione e di formazione, di ritrovo e di costruzione di esperienze, punto di riferimento per creare scambio di opinioni, che ha l’obiettivo di ricomporre la frammentarietà delle tante iniziative che coinvolgono i figli di immigrati, le seconde generazioni.

Forse più di tutto ‘una speranza’ come c’è scritto sul cartellone dietro la scrivania a cui sono sedute le ragazze che ascoltano, informano, consigliano, senza chiedere mai ‘da dove vieni?’; la speranza che la ‘confortevole scomodità’ di oggi possa presto essere superata da una legge più equa e giusta che riconosca cittadini italiani i ragazzi che qui sono nati o cresciuti e che italiani si sentono già da tempo.

 

Paola Bocci

 



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