12 giugno 2013

IL FATTORE P: PARTITI, PORCELLUM, PRESIDENZIALISMO


Non c’è commentatore politico che non parli e sparli del Porcellum, considerato l’origine di tutti i mali. Ma allora perché è cosi difficile uscirne (è legge elettorale dal 2006!)? Ma perché il Porcellum non è una semplice porcata occasionale, esso è la sintesi e l’emblema di un modo di fare politica che è proprio di tutti i partiti. È opinione condivisa tra gli osservatori della politica italiana che nessun partito abbia voluto toglierlo prima delle recenti elezioni (anche se ora attribuiscono alla legge elettorale l’impossibilità di avere una maggioranza coerente e la necessità delle larghe intese…).

Bersani (adagiato sui sondaggi) pensava di poterne usufruire per andare al governo, Berlusconi oltre allo spariglio al Senato pensava al controllo sulle liste, persino Monti, in fine, non ha disdegnato l’opportunità di scegliersi i compagni di viaggio… Ogni partito funziona per cooptazione, rarissimi sono i voti democratici e questo metodo si applica anche alle nomine e al sottogoverno (con la sola differenza rispetto al passato che l’elezione diretta di sindaci e presidenti rende questi più forti dei partiti stessi ridotti a comitati elettorali).

Insegnava Miglio che un ceto politico non voterà mai provvedimenti contro se stesso. Altrimenti non sarebbe stato altrettanto logico superare il bicameralismo perfetto, ridurre il numero dei parlamentari, abolire le province? Il ceto politico attuale potrebbe ben essere tratteggiato da un verso di Antonia Pozzi: “miti desideri di sicuri stipendi“. Il PD si vanta di essere l’unico partito “non personale”. È vero. Senza la leadership e il comando di Berlusconi il PDL non esisterebbe. Senza Grillo forse i Cinque stelle sarebbero poca cosa. Ma è tanto diverso un partito che si è inventato “il caminetto”? È molto diversa un’oligarchia di capicorrente che “scende giù per li rami” fino ai livelli locali?

Non ci si dica che le primarie fanno la differenza. Il “bagno di popolo” è servito solo per legittimare il capo di turno e stabilire le percentuali degli altri azionisti. Ogni volta che le primarie sono state effettivamente competitive è stato uno shock, finito o con la sconfitta del candidato targato PD o con gli sbarramenti e gli ostracismi verso chi non rientrava nella consociazione interna. A Milano l’abbiamo vissuto in prima persona. Quando mai il PD milanese è stato contendibile? Non c’è una direzione o segreteria che sia stata votata. Sempre su liste bloccate.

Quando nel 2008 gli accordi tra le correnti prevedevano un segretario provinciale di origine margheritina (giacché il regionale era di origine diessina) la scelta cadde su un assessore della giunta Penati che garantiva l’impegno del partito “come un sol uomo” su Panzeri, Toia e Penati alle elezioni europee e provinciali del 2009. Per contestare questa modalità mi candidai a segretario senza neanche uno straccio di corrente. Alle “primariette” del luglio 2008 ottenni il 35% in città e il 25% in Provincia. Risultato? Nemmeno una telefonata! Mai disturbare il manovratore.

Ma più emblematico è stato il caso di Boeri. Boicottato da una parte del PD alle primarie perché “figlio di un dio minore”, mal sopportato come capolista, temuto per le troppe (sic) preferenze, non sostenuto nella trattativa politica e lasciato solo alle ire di Pisapia (nonostante avesse da tempo rinunciato ad avere un profilo politico e si fosse limitato a fare l’assessore alla cultura…). La vicenda Boeri è l’emblema di come un partito non sia interessato (se non strumentalmente e occasionalmente) al contributo di personalità competenti e indipendenti.

Ora il dibattito sulla legge elettorale si va sovrapponendo alle riforme istituzionali. Il rischio di una lunga e improduttiva chiacchiera (visto i precedenti) è forte. Già si alza la bandiera “democratica” della lotta al semipresidenzialismo… E chi non ha qualche brivido a sentir parlare di presidenzialismo in questo paese? Il problema è lo stesso però dell’ondata cosiddetta di “antipolitica”. L’antipolitica non è altro che una domanda alla politica che non trova risposta. E così è anche il presidenzialismo. Se i partiti continueranno a essere inconcludenti, fintamente litigiosi, determinati solo nelle lotte di potere e spartizione, senza alcuna suggestione e racconto su come si reagisce alla crisi, su come si conciliano libertà e giustizia sociale, su come si costruisce un futuro. Il Presidenzialismo avrà il vento in poppa e …. cara grazia se riusciremo a controbilanciarlo un po’.

Pier Vito Antoniazzi



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