5 giugno 2013

CITYLIFE IL RE NUDO E LE ARCHISTAR


L’estate scorsa al porto di Corfù in attesa di un traghetto, guardavo il solito via-vai di navi da Crociera, sempre più grosse e numerose, che in quella occasione mi avevano dato una curiosa sensazione di dejà-vu alla quale non riuscivo a dare collocazione. Solo oggi sfogliando un elegante opuscolo promozionale di CityLife intitolato “Scopri il nuovo modo di abitare a Milano”, a proposito dei giardini che circondavano le residenze progettate da due note archistar, si esibiva una definizione apparsa su Yacht Capital 11/2010 che così affermava: “così come gli yacht navigano nel blu, questi appartamenti potranno navigare nel verde, un lusso che nel cuore di una città come Milano non ha prezzo”. Ed ecco che improvvisamente il dejà-vu di Corfù ha trovato la sua collocazione, le case di Libeskind e Zaha Hadid a CityLife non sono altro che Navi da Crociera
di dieci /dodici piani ma immobili.

Come giudicare questi nuovi progetti residenziali, spesso di cosiddette archistar, che stanno caratterizzando la Milano del 2000? Nel caso di CityLife dal punto di vista planivolumetrico pagano certamente l’esagerato volume concesso dall’Accordo di Programma che ha impedito ai progettisti di integrarsi con l’altezza media degli edifici circostanti. Creando anche visivamente, a causa dell’altezza, l’effetto di cittadella murata invece che quello di città continua. Ricordiamo che dei tre progetti planivolumetrici proposti alla amministrazione questo era stato stato definito da tutti il peggiore, ignorando del tutto la “contestualizzazione” con l’esistente, e scelto solo perchè dava il valore più alto all’area. E questo valore più alto non poteva che essere a scapito della qualità urbana dell’intervento.

Le facciate, che in un ultimo tentativo di integrazione con l’esistente avrebbero dovuto adottare i colori e materiali prevalenti degli edifici residenziali circostanti, intonaci gialli, mattoni rossi, klinker e pietre beige sono invece disperatamente bianche, con parti in listelli di legno tipo Alto Adige, una combinazione di colori e materiali che a Milano non esiste, il tutto espresso con tagli di finestrature e balconate in diagonale caratteristiche del design navale, dove si usa tradizionalmente a dimostrare la forza dell’imbarcazione di tagliare il mare, che qui non c’è.

Questi progetti sembrano piuttosto “contestualizzati” con un porto turistico, dove le imbarcazioni creano, andando avanti e indietro, scenari variabili ma che qui a Milano sono invece fissi. Percorrendo viale Cassiodoro verso sud, sembra di essere sul fronte di un porto dove a sinistra si affaccia la città compatta e a destra sono ancorate le gigantesche navi in partenza. Come in altri casi il design simil-navale si può classificare come una ulteriore variante della tendenza architettonica che sta diffondendosi oggi a Milano e che chiamo del “famolo strano” (il romanesco di Verdone e non il latino), cioè fare a tutti i costi qualcosa di differente tradendo la continuità del tessuto urbano e degli stessi stilemi milanesi.

Ed eccoci al perchè del titolo il Re Nudo. Molte archistar bravissime a progettare musei, stadi, stazioni, teatri o edifici pubblici di fronte al problema delle residenze svelano sorprendentemente la loro debolezza architettonica. Allora scopriamo che Il Re è nudo! Infatti i nuovi progetti che faranno parte della scena urbana milanese, composta prevalentemente di edifici residenziali, necessitavano di uno studio di approfondimento alla ricerca degli input che l’esistente trasmette, per il quale l’archistar non ha evidentemente tempo e allora per abbreviare il percorso progettuale e manifestare comunque la sua diversità presunta di archistar, esibisce, al solo fine di “èpater le bourgeois“, incongrue morfologie terziarie nordiche come a Porta Volta, biomorfe come nell’ultimo progetto della Università Bocconi o portuali come in CityLife.

I risultati di queste fughe in avanti dopo pochi anni svelano la loro pochezza architettonica assumendo il deprimente aspetto di edifici terremotati, come spesso ricordo pensando a quello di Hollein a Vienna e Ginger & Fred a Praga. Mentre invece i progetti di Aldo Rossi a Berlino sono indubitabilmente di Rossi, ma anche visti dieci anni dopo restano soprattutto berlinesi perchè rispettosi degli stilemi locali. Il problema, non sempre a tutti noto, è che è molto più difficile “fare architettura” progettando residenza che qualsiasi altra destinazione e a Milano ci saranno almeno cento architetti che fanno buone residenze contestualizzate e che sarebbero in grado a maggior ragione di disegnare anche un buon museo. Solo che non ne hanno mai avuto l’occasione.

Allora andiamoci piano a parlare di archistar per gli architetti che fanno edifici cospicui accettabili e poi cadono tragicamente sulla residenza. Riconosciamo questo titolo a quelli che progettano e contestualizzano bene gli edifici cospicui, ma ai quali si può perdonare qualcosa perchè comunque utili all’arricchimento della scena urbana, ma che siano anche in grado di affrontare in modo accettabile la tipologia residenziale senza offendere la città che li ospita.

La progettazione della residenza oltre alle difficoltà architettoniche ambientali dovute a una attenta contestualizzazione, alla incertezza economica legata a un rapporto costi/ricavi imposto dall’operatore, a eccessive e spesso aberranti sovrapposizioni normative e regolamentari, deve anche affrontare “il mercato” con le sue esigenze, mercato che per gli edifici cospicui non c’è.

 

Gianni Zenoni

 



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