5 giugno 2013

FRANCA RAME E DARIO FO: ECCELLENZA DEL TEATRO MILANESE


La Compagnia Fo-Rame (Dario Fo e Franca Rame) sin dai suoi esordi, nella seconda metà degli anni ’50, ha rappresentato una unicità nel panorama teatrale non solo milanese ma italiano. In un tempo in cui le compagnie “capocomicali” tendevano a ridursi fino a sparire essendosi consolidato nel frattempo il progetto dei teatri stabili voluti dalla mano pubblica, guidati dal Piccolo Teatro di Milano. Una esperienza, quella dei teatri stabili, totalmente innovativa per il nostro paese e quella del Piccolo Teatro esaltante e densa di contenuti culturali e sociali, che ha proposto una visione assai diversa da quella preesistente la fine del conflitto mondiale del modo di lavorare degli artisti, del modo di proporsi al pubblico e soprattutto del modo di organizzare la vita quotidiana e le prospettive di una compagnia associata alla gestione di un teatro.

Tutto ciò, nonostante i grandi meriti che vengono ampiamente riconosciuti, ha comportato la fine di molte compagnie teatrali, ancora di stampo ottocentesco, guidate da un capocomico o da una famiglia di artisti, la cui proposta repertoriale si indeboliva in rapporto ai contenuti significativi dei testi e delle drammaturgie, introdotte dalla “stabilità” che poteva permettersi un rischio culturale ed economico grazie ai sostegni pubblici che le compagnie non avevano più.

Stiamo parlando di compagnie che vivevano, provavano e debuttavano nei teatri “privati” milanesi, ma che non recitavano in vernacolo ma “in lingua” come si diceva allora. Un esempio fu la Compagnia Talli, Gramatica Ruggeri che associò Dina Galli la quale dopo questa esperienza decise di costituire una propria compagnia con il suo compagno nella vita dedicandosi prevalentemente al repertorio dialettale e di teatro leggero, come la Compagnia del Comendador Bonecchi o la Tumiati Merlini. Compagnie familiari o familistiche che avevano assicurato nell’ottocento e nei primi quaranta anni del novecento la presenza del teatro a Milano e in Italia garantendone anche una sostenibilità economica.

È una premessa necessaria che serve a rammentare l’habitat professionale nel quale nasce e trova spazio la compagnia di Dario Fo e Franca Rame, che si ispira, a mio modo di vedere, a questo passato non ancora così lontano. D’altra parte Franca Rame proveniva proprio da una esperienza artistica “familiare”, il padre Domenico e la madre Emilia Baldini erano attori così come la sorella Pia e il fratello Enrico, che scelse poi la strada dell’organizzazione teatrale divenendo uno dei più prestigiosi direttori di teatro e di compagnie. La Compagnia Rame che si esibiva in tutto il territorio nazionale e veniva frequentemente chiamata all’estero in tournée, tournée che hanno compreso anche il Nordafrica, poteva contare su un repertorio, proprio come succedeva nell’ottocento, vasto e con forme che andavano dai burattini fino alla grande commedia.

È stata questa l’accademia di Franca che l’ha proiettata nel grande teatro di rivista che allora aveva un grande ruolo nel sistema milanese e italiano. Quando parliamo di compagnie ci riferiamo a quelle di prosa, perché invece nella rivista è continuata fino ai tardi anni sessanta la fertilità produttiva di Milano con gli spettacoli della sigla RP, ad esempio, iniziali di Remigio Paone storico direttore del Teatro Nuovo e poi dell’Odeon (il vero teatro di tradizione di Milano).

Cito Remigio Paone perché da impresario accorto diede ampio spazio alla Compagnia Fo-Rame nel suo Odeon, dopo aver verificato di persona il talento di Dario, sia come scrittore che come attore/regista, ne Il dito nell’occhio, che fu proposto, con la compagnia Fo, Parenti, Durano, che fu proposto per ben due stagioni al Piccolo Teatro in via Rovello ottenendo un enorme successo di pubblico.

Dario Fo e Franca Rame sono stati a lungo l’unica compagnia “di continuità” diremmo oggi ovvero con la continuità del nucleo artistico e di pensiero che ha operato a Milano, attraversando gli anni ’50 e ’60 con un repertorio di commedie già improntare alla denuncia e all’impegno sociale ma dal taglio brillante, ruoli in cui entrambi eccellevano, rinnovando, in tal modo, anche il progetto un po’ paludato del teatro ufficiale. Sono stati per lungo tempo gli unici capocomici milanesi, restaurando – con uno sguardo più al passo con i tempi – quella forma di gestione. Dall’esperienza di attrice di rivista che Franca aveva condotto con la Compagnia di Tino Scotti all’Olimpia di Milano, uno dei primi storici teatri a scomparire (in cui aveva recitato più volte anche Vera Vergani, la sorella di Orio nota attrice) è approdata all’esperienza del tutto unica del Teatro di Dario Fo, offrendo la sua intelligenza e la sua energia non solo per il decollo del progetto, ma anche per la sua continuità in un sistema teatrale italiano che si andava rapidamente modificando.

La loro era una compagnia richiestissima da tutti i teatri italiani, seppure sempre nettamente oppositiva per i contenuti, declinati con una drammaturgia originale e fortemente identificabile, era molto contesa e, come ho già detto, apriva nel mese di settembre, abitualmente, la stagione dell’Odeon. Il cammino del “cosiddetto periodo borghese” cioè quello della presenza nei teatri più ufficiali di Milano e d’Italia con spettacoli come: Settimo Ruba un po’ meno, Gli arcangeli non giocano a Flipper, Chi ruba un piede è fortunato in amore, la Signora è da buttare, trova uno sbocco ancora una volta decisamente innovatore, nel’68 quando Dario e Franca decidono di lasciare la rete dei teatri che avevano fino ad allora abitato inventando l’avventura teatrale di Nuova Scena, insieme a Vittorio Franceschi e Massimo de Vita e anche grazie alla lungimiranza e alle capacità organizzative di Nanni Ricordi, che ha prodotto la fioritura di un circuito alternativo più vicino a una socialità a cui questi artisti avevano rivolto la loro attenzione da subito.

Milano, dal ’47 in poi ha confermato di essere la Città dei Teatri, poco delle compagnie. Quindi anche la compagnia Fo-Rame, dopo la tangibile esperienza di Nuova Scena ha sentito il bisogno di trovare approdo a una casa. L’occasione si presenta con il trasferimento del mercato ortofrutticolo e l’abbandono della Palazzina Liberty. La palazzina rimane vuota e il Comune la lascia decadere, Dario e Franca sentono l’esigenza, per dare ancor più forza alle loro parole, di inserirsi “occupandola”, sempre da privati quali sono stati per tutta la loro vita artistica, e facendola diventare un punto di riferimento per un progetto di politica culturale aperto, ricco di stimoli che ha attratto più di una generazione di giovani che sono cresciuti guardando al loro teatro come a una fucina di idee che univa i valori sociali, umani e artistici per il raggiungimento di un equilibrio sociale che, purtroppo e nonostante gli sforzi di molti, è soprattutto oggi una utopia.

Tutto questo da soli, con qualche aiuto ottenuto faticosamente da Ministero per il Turismo e lo Spettacolo, ma grazie alla esplosione della loro arte continuato e conservato e come unica esperienza dell’impresariato puro del Teatro di Milano. Hanno condiviso questa condizione solo con un altro significativo progetto quello del Teatro Canzone di Giorgio Gaber, unica – anche questa – e originalissima esperienza di coniugazione di teatro e musica, che aveva anch’esso la sua radice a Milano ma si irradiava vertiginosamente in tutto il nostro Paese. Tre artisti che hanno incrociato la loro arte e le loro vite.

 

Fiorenzo Grassi*

 

* Direttore organizzativo Teatro Elfo Puccini e Direttore artistico Teatro Fraschini di Pavia

 

 

 

 

 

 



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