5 giugno 2013

IL TEATRO ALLA SCALA NELL’ERA PISAPIA


Il Teatro alla Scala è maestoso austero, un teatro ottocentesco che bene interpreta la storia e la cultura della città di Milano. Chi ti scrive, viene da un’altra città, Napoli, con un’altra storia e una cultura diversa; il cui teatro cittadino è l’esempio dell’estetica settecentesca, un teatro in cui i colori, la vivacità degli stucchi, la leggerezza architettonica traspaiono il secolo dei lumi. Chi ti scrive è restato attonito, quasi ammutolito dal colore bianco della volta del massimo meneghino e dal grande lampadario disegnato dallo scenografo Alessandro Sanquirico, un idea di ricchezza potenza ma allo stesso tempo sobrietà.

Il Teatro alla Scala è una delle gemme della corona della città di Milano eppure ci consta notare sui mezzi di informazione che anche questo verrà toccato dalla crisi economica con “riduzione” del cartellone nella stagione 2014. Il numero delle opere scende da 13 a 10 (-23%) e quello dei balletti da 13 a 6 (-53,8). Come scrive Sergio Vicario nel n. 20 di ArcipelagoMilano manca un’idea forte nella giunta Pisapia della Milano che verrà o se c’è non si percepisce. Tra gli asset da giocarsi ci sarebbe il Teatro alla Scala. Qualunque cosa muovi a Milano non puoi prescindere dalla Scala.

Ma vediamo come mai siamo arrivati al punto della riduzione del cartellone 2014. Già nel 2004 su lavoce.info Giuseppe Pennisi parlava di deficit complessivo di gestione dei teatri lirici. La Corte dei Conti nella sua Determinazione e relazione della Sezione del controllo sugli enti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria delle Fondazioni – lirico – sinfoniche per gli esercizi 2007-2010 relatore il Consigliere Andrea Zacchia ci dice che: “Le indicazioni che si ricavano dall’analisi dei dati esposti evidenziano per quasi tutte le fondazioni che: a) i ricavi propri, tranne alcune eccezioni, coprono una parte troppo esigua dei costi della produzione e, quindi, l’onere maggiore grava sui contributi in conto esercizio, i quali, però, specie quelli statali, dopo un primo biennio in aumento tendono a ridursi; b) l’onere del personale incide sui costi generalmente ben oltre il 50%.

Per quanto riguarda la Scala: i ricavi derivanti dalla vendita dei biglietti ammontano nel 2010 a €39.430.302; i contributi in conto esercizio sono pari a €57.947.812; il costo del personale nell’anno 2010 è stato pari a € 64.682.633 che rapportati al costo totale della produzione pari a €112.804.589 sono all’incirca il 57%.

Nello specifico per il teatro “Alla Scala” (pag. 291 e seguenti della relazione) i risultati economici delle gestioni, costantemente negativi nel triennio 2007-2009 (€4.362.293 nel 2007, €6.952.264 nel 2008 e €6.900.140nel 2009 ), evidenziano una perdita d’esercizio minore rispetto al 2006 … i risultati economici della gestione 2010 sono stati negativi per €9.652.130.

E il teatro “Alla Scala” come riporta il settimanale Panorama, ma ci dice anche la Corte dei Conti alle pagine 29 e seguenti, ha ricevuto dal solo Fondo Unico per lo Spettacolo (Fus) per l’anno 2010 €26.730.418,48 su di un totale versato a complessivamente a tutti gli enti lirici italiani di €190.394.612,50 pari al 14,03%: la Fenice di Venezia e l’Accademia Santa Cecilia di Roma, ma in generale tutti gli enti lirici hanno protestato. In sostanza i Teatri lirici vanno sovvenzionati e parecchio, come del resto accade nel resto d’Europa, perché lo stato, il comune fanno cultura. Ma se lo stato è in grave crisi la cultura viene mortificata.

Questo avviene nel corso delle giunte di centro destra di Albertini, il noto amministratore di condominio che in quanto tale di cultura e di gestione culturale lascia a desiderare. E anche nella gestione della signora Brichetto (in Moratti) non si sono visti grandi risultati. Poi, vinte le elezioni Pisapia e C. hanno ben pensato di sistemare una volta per tutte la faccenda e a onor del vero con un abile mossa: il Consiglio di Amministrazione ha conferito alla società McKinsey l’incarico di redigere un piano d’azione strategico 2012- 2015 con l’obiettivo di: definire le strategie per il futuro del Teatro coerenti con la sua tradizione artistica; definire il piano degli investimenti necessari; definire ulteriori opportunità di sviluppo, come da relazione finale annuale al Bilancio dell’Esercizio 2011.

E qui dunque da buon elettore, fiducioso del lavoro del tuo Sindaco, penseresti di dormire sogni tranquilli. Ma poi un bel giorno complice la devastante crisi economica ci si trova a dover leggere sui giornali che la Scala taglia il cartellone. È probabile che McKinsey non abbia avuto molto tempo per lavorare e che il Fus sia stato rimodulato da Monti, il combinato disposto derivante da un conto economico troppo dipendente dai contributi in conto esercizio ha generato la conseguente riduzione del cartellone.

Ora è evidente che in un siffatto frangente dove la paura serpeggia tra tutti, mancano certezze, i bilanci familiari sono risicatissimi e la banconota da 50 euro diventa una chimera il 20 del mese, il bilancio del comune langue e si rischiano nuove tasse, arrivano tagli per tutti anche per la Scala visto che gli altri teatri cittadini versano in condizioni ben peggiori. Ma è proprio qui, agganciandomi al pezzo di Sergio Vicario, che manca un piano per valorizzare un asset primario nell’ambito di un riposizionamento globale della città di Milano nello scenario competitivo delle metropoli europee.

 

Riccardo Lo Schiavo

 



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