29 maggio 2013

D’ALFONSO A GAMBA TROPPO TESA. PERÒ


La forte turbolenza politica, che si è manifestata tra i Consiglieri di maggioranza nei confronti dell’articolo dell’assessore Franco D’Alfonso, ha fatto registrare accessi record ad ArcipelagoMilano. Nella rete l’irritazione dei consiglieri non si è, tuttavia, trasformata in un referendum pro o contro l’Assessore, ma ha invece dato vita a un dibattito più di merito sul bilancio della gestione Pisapia, a distanza di due anni dall’entusiasmante insediamento a Palazzo Marino.

Il giudizio di D’Alfonso risulta, comunque, ingeneroso anche perché addossa ai Consiglieri delle responsabilità che stanno soprattutto da altre parti. La sconfitta nelle recenti elezioni nazionali e regionali ha evidenziato, nell’insieme delle forze del Centrosinistra, e in primo luogo nel PD, una grande debolezza di proposta politica. Si tratta di un vuoto i cui segni premonitori erano già del tutto evidenti nel successo di Pisapia.

Quel vuoto politico, tuttavia, non era colmabile solo con la responsabile, onesta e sobria amministrazione della ‘Giunta arancione’ e, proprio per questo, era inutile infierire sugli sbandamenti, presunti o reali, del Consiglieri di maggioranza. In politica, infatti, le colpe o i ritardi si pesano e non si contano.

L’articolo di D’Alfonso aveva come finalità quella di rispondere alle critiche di Marco Vitale apparse su Reset e su Il Giorno. Critiche che rimandano a una certa delusione che, come segnalano anche gli articoli di Giangiacomo Schiavi e Marco Garzonio sul Corriere della Sera, si respira tra diverse persone che in vari modi avevano contribuito al successo di Pisapia, prima alle primarie e poi alle elezioni comunali.

Al riguardo, distinguerei tra due tipi di ‘delusione’, il cui confine ovviamente è puramente teorico e le sovrapposizioni inevitabili. Le prime attengono a temi sollevati durante la campagna elettorale e che hanno molto a che fare con l’auspicato protagonismo della ‘cittadinanza attiva’. Due erano i temi che, in particolare, allora entusiasmarono e mobilitarono decine di migliaia di persone: trasparenza e partecipazione.

Entrambe riguardavano la partecipazione e la trasparenza durante il processo di formazione delle decisioni dell’Amministrazione. Tutto questo si è realizzato solo nella fase iniziale della nuova Amministrazione attorno al problema del PGT. Poi, tranne probabilmente qualche iniziativa a livello di zona o quartiere, più nulla. Sperimentare queste inedite forme di partecipazione è sicuramente faticoso e, talvolta, anche dispersivo, ma da quella mancata sperimentazione sono dipese le ragioni del progressivo afflosciarsi del ‘Movimento arancione’ nelle sue forme organizzate, di cui ha tratto giovamento, anche se in misura minore che da altre parti, il Movimento 5 Stelle.

L’altro tipo di delusione riguarda la percezione della mancanza di un’idea forte che dovrebbe caratterizzare la Milano che verrà. La visione e il progetto non si determinano con il peyote evocato da D’Alfonso, basta mettere in fila gli asset di cui dispone Milano nel confronto internazionale e decidere su quali si vuole investire, magari anche solo sul piano culturale.

Chi scrive, anche per motivi professionali, ne ha in mente due, che potrebbero però essere legittimamente sostituiti da altri. Milano è percepita, e lo è, a livello internazionale come una grande piattaforma commerciale, in particolare legata al lusso e al made in Italy. Questo asset è fortemente insidiato dalla competizione internazionale (in Europa da Parigi e Londra), ma si fatica a capire (tranne che con i riferimenti all’Expo) quale sia la direzione di marcia della Giunta per tenere la posizione. Il made in Italy nel mondo è apprezzato non solo per i prodotti belli e ben fatti, ma anche per il patrimonio culturale che quei prodotti evocano e contengono nel loro background.

Mettere insieme le due cose anche fisicamente (come è stato egregiamente fatto al Padiglione Italia a Shanghai), oltre che creare un ‘ambiente’ favorevole, potrebbe essere un must dell’Amministrazione. Ad esempio, con un appropriato utilizzo della Galleria non come Salotto dei milanesi, ma come rappresentazione della miglior produzione culturale e manifatturiera di cui dispone il Paese. Anche se si comprende che data la costituency della coalizione sia più facile parlare degli ultimi che del lusso, non andrebbe dimenticato che ai bisogni, senza sostegno del merito, sarò sempre più difficile dare risposte.

L’altro tema riguarda la ricerca biomedica, che vede Milano sicuramente in una posizione rilevante a livello internazionale. Il Comune non può certo farsi carico dei tagli continui ai finanziamenti alla ricerca, ma fa poco anche per indirizzare il dibattito sulle priorità e sulle possibili modalità di coordinamento tra i vari Centri di ricerca. Sulla Città della Salute quel poco di dibattito che si è fatto è stato sulla collocazione immobiliare, invece che cercare di capire come sarà nel medio periodo il rapporto tra assistenza sanitaria, ricerca e evoluzione tecnologica, magari anche per dire che l’attuale scelta non andava e non va bene.

Questo ‘disinteresse’ lo si è percepito anche con il silenzio dell’Amministrazione di fronte al recente blitz degli animalisti al Dipartimento di Farmacologica, come se quell’atto non avesse nulla a che fare con un possibile futuro della città. Silenzio che si accompagna alle posizioni espresse dal ‘garante degli animali’ nominato dal Comune contro l’utilizzo degli animali nella sperimentazione scientifica o alla paginetta predisposta nella Bozza di regolamento comunale riguardante il benessere degli animali, che ha suscitato grande preoccupazione nel mondo della ricerca scientifica milanese.

Nel concludere il suo articolo D’Alfonso auspicava che i cittadini, seguendo un insegnamento anglosassone, provassero ad assaggiare il budino senza preventivamente schifarlo. Chi scrive è più che convinto che il ‘budino’ sia tutt’altro che da sputare, soprattutto se si pensa alle passate Amministrazioni, anche se sa già che gli resterà comunque un fondo di amaro in bocca.

 

Sergio Vicario



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