29 maggio 2013

posta dei lettori_29.05.2013


Scrive Franca Castellini Bendoni ad ArcipelagoMilano – Ho letto l’articolo di Franco D’Alfonso: caspita, questo significa parlare chiaro. Io sono una che legge i giornali e si informa, che ama vivere a Milano, mi incavolo come una iena quando sento gli sproloqui di De Corato, imbullonato per anni (quanti?) nella giunta di Milano, ora in Regione (ma perché non torna a Roma, almeno farebbe forse folclore in parlamento… e Milano respirerebbe aria diversa) e pensavo di essere mediamente a conoscenza di quanto succede in città. Invece no, mi sono resa conto che di tutte le cose dette da D’Alfonso ne conoscevo la metà, o quantomeno non avevo elementi per conoscere meglio e più a fondo.

Ma cosa fa l’ufficio comunicazione del Comune? Perché non copiare (questo sì) il metodo berlusconi di dar luce alle diverse realtà, i successi ottenuti, le storture corrette? Non c’è bisogno di proclami e trombonate alla berlusconi, ma di discorsi chiari, semplicemente normali, per avviare quel filo rosso di dialogo periodico con la città (la partecipazione!!!) per dire dove si va (visione) dove si è arrivati, oppure per quali motivi ci si è fermati, ecc. Certo, dovrebbe essere una comunicazione al di fuori di ideologie, dietrologie, noi più bravi voi incapaci, eccetera: forse è questo l’ostacolo maggiore? Milano ha risorse, noi cittadini penso abbiamo voglia di conoscere meglio scelte e indirizzi per capire, fare osservazioni o critiche, ma sentire che quello che si sta facendo va nella giusta direzione di mantenere una città viva, attenta, e partecipata.

 

Scrive Giuseppe Vasta ad ArcipelagoMilano – Non condivido per niente le valutazioni di Franco
D’Alfonso sulle modifiche apportate al PGT della Moratti. Anzi temo che anche lui sia stato vittima dell’illusione consolatoria di che pensa di aver fatto “radicali cambiamenti”, approvando un Piano che invece è solo una sbiadita fotocopia di quello precedente, con tutti i suoi limiti (eccesso di volumetrie virtuali, ecc.). Temo anche che questa valutazione sia frutto di vera e propria incompetenza, più che di malafede (sono evidentemente convinti di aver fatto un buon lavoro, mentre invece è pessimo, questo è il problema). Suggerisco di farsi spiegare meglio quanti sono i milioni di metri cubi tuttora previsti (i dati ufficiali non sono esattamente limpidi) prima di avventurarsi in altre valutazioni. D’accordissimo invece sul “trabiccolo” della macchina comunale (dove l’intervento non solo è stato inadeguato, ma a volte addirittura nella direzione opposta a quella che sarebbe stata giusta: penso a certe promozioni a vicedirettori generali… ma meglio tacere). Troppa realpolitik, troppo continuismo: quello che ci si aspettava non era solo un cambiamento dei nomi di chi occupa una posizione di potere: l’importante era cambiare certi meccanismi. Ma l’occasione oramai sembra persa, l’hanno capito tutti.

D’accordissimo anche con Luciano Balbo sulla mancanza di propositività della sinistra. E a proposito, qualcuno sa dirmi quale sia la visione del futuro di Milano prospettata dalla Giunta? Quali sono le idee dietro? Qualcuno le ha notate? Aggiungo: d’accordissimo anche con Cominelli. Vuoi vedere che almeno fra chi non governa a sinistra qualche novità si fa strada?

 

Scrive Massimo Gargiulo a Valentino Ballabio – Condivido le preoccupazioni espresse da Valentino Ballabio nel suo intervento “Centralismo regionale avanti tutta”. Preoccupazione confermata dai silenzi di Giuliano Pisapia sul tema Città Metropolitana nel suo intervento su Corsera del 27 maggio. Silenzi che si accompagnano a quelli dei partiti e, con eccezione di ArcipelagoMilano, a quelli della società civile.

 

Scrive Luigi Caroli a Luca Beltrami Gadola – “Chi non ama la partecipazione” scrivi “l’accusa di causare lentezza nei processi decisionali”. A conferma di quanto giustamente sostieni sul Sole 24 Ore di qualche settimana fa è apparso un articolo sul “Debat public” e le conseguenze provocate dalla sua applicazione. Tutte le persone interessate – comuni cittadini compresi – possono partecipare alle discussioni preventive e alla decisione. Questa, una volta assunta, non corre rischi di contestazione. Fra i più importanti Paesi europei noi siamo, naturalmente, all’ultimo posto nel suo utilizzo. Ebbene. In Francia, dopo la sua applicazione, i tempi si sono ridotti del 50% e i costi del 35%. Credo che in ITALIA l’abbattimento del “costo finale” si avvicinerebbe al 60%. Ciò spiega perchè i nostri soloni non ne vogliano sentir parlare. Non sarebbe una buona riforma? Ma… se percentuale dev’essere, meglio che la base abbia una buona altezza!

 

Scrive Carlo Geri a Luca Beltrami Gadola – Premesso che, secondo me, Crozza è divenuto il commentatore più lucido e incisivo sulla piazza mediatica, concordo con quanto afferma Luca Beltrami Gadola. Detto questo, e avendo partecipato, abbastanza attivamente e anche proattivamente, al periodo arancione, mi son dovuto rendere conto che, il precedente “effetto annuncio” è stato effettivamente mandato in pensione sostituito dall'”invito alla partecipazione”, cosa positiva, solo che, dopo l’invito non segue la partecipazione, bensì professionali e ben organizzate manifestazioni: la settimana di … , le tre giornate di … in sintesi, la one-way communication! Eppoi, si parva licet, funzionari che non rispondono, mail con proposte ignorate … Così l’arancione sbiadisce…. “Refresh necesse est”!

 

Scrive Pietro Vismara a Giuseppe Vasta – Sul dibattito aperto dal Corriere (città bella / città giusta), vorrei far notare che se aveste prospettato a un uomo del Rinascimento una simile contrapposizione (come se inevitabilmente ciò che è giusto fosse grigio e triste, ciò che è bello invece iniquo), probabilmente vi avrebbe guardato male, ritenendo la questione mal posta. Nella visione classica di chi ha costruito le nostre belle città, “bello”, “buono” e “giusto” infatti coincidono (è il famoso kalòs kai agathos degli antichi greci). Vero è che se andiamo a vedere la storia di queste nostre città, ciò che è stato prodotto dalle istituzioni “inclusive” (ovvero aperte, per usare le categorie di Acemoglu e Robinson) è spesso più sobrio rispetto alle fasi in cui hanno dominato istituzioni “estrattive” (ovvero di rapina). In altri termini, la Roma repubblicana ha lasciato monumenti meno spettacolari e scenografie urbane meno grandiose di quella imperiale; così come la Venezia mercantile medievale rispetto a quella oligarchica successiva. Molti nostri bei monumenti appartengono insomma già a fasi di declino, quando la società era ancora molto ricca, ma oramai poco viva e dominata dalle élite. E a questo punto credo non possano esserci dubbi: meglio la sobrietà delle società aperte (e meglio ancora se le grandiose scenografie sono solo state ereditate!).

 

Scrive Roberto Caputo ad ArcipelagoMilano – È vero che il bilancio comunale è avaro di risorse, che sono cambiati quattro assessori strategici, che è esplosa di nuovo la questione sicurezza, che vi è una crisi economica che sta colpendo anche il Nord, ma negli ultimi mesi Milano sembra ripiegata su se stessa. Eppure, sulle ali dell’entusiasmo per la vittoria di Giuliano Pisapia, nella nostra città, si respirava aria di cambiamento, novità, di scelte importanti per il futuro. Ora, mi sembra sia rimasto soltanto Expo come grande progetto. Non ritengo che si tratti di una situazione solo psicologica, sono dell’avviso invece che si stia vivendo una profonda crisi politica. Crisi politica che ha avuto la sua fase terminale con la sconfitta alle elezioni regionali. Si è pensato, infatti, in quell’occasione di trasportare tout court il progetto Milano in Lombardia, ma questo non poteva essere. Si è sbagliata la campagna elettorale e da un’illusione di vittoria si è passati rapidamente alla delusione di una sconfitta che neppure è stata analizzata e quindi rimane tutta sullo sfondo di una condizione di difficoltà del centrosinistra e di quel pezzo di società civile che aveva creduto in una svolta. Milano non vive dibattiti interessanti si sofferma soltanto su polemiche sterili e su scontri ideologici. Milano ha perso in questi anni i luoghi dove il dibattito poteva svilupparsi, rischiando così di essere povera di idee, di immaginario, di fantasia e di progettualità. Serve un colpo d’ala immediato. Non basta concentrare tutti gli sforzi su Expo, ma credo sia importante individuare alcuni punti di forza che possano ridare protagonismo alla città. Il Consiglio comunale di Milano potrebbe diventare, come è sempre stato negli anni passati, il momento più alto del dibattito. Basta volerlo. E un centrodestra ancorato alle solite schermaglie non aiuta certo in questo senso. Recuperiamo la via maestra della politica se crediamo che ancora Milano possa giocare quel ruolo nazionale che ha sempre avuto.



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