29 maggio 2013
ADAM JOHNSON
IL SIGNORE DEGLI ORFANI
Premio PULITZER 2013 per la Narrativa
Marsilio 2013
pp 554, euro21
L’autore, che insegna scrittura creativa all’Università di Stanford, è uno dei pochissimo americani ad avere visitato la Corea del nord, mettendo insieme, nell’arco di sette anni, a margine dei suoi viaggi, un’impressionante archivio di dati e informazioni, ufficiali, ma soprattutto non ufficiali, sullo stato e sull’andamento effettivo dell’economia, della politica, della situazione sociale, culturale e persino alimentare della misteriosa autocrazia popolare.
Il racconto di Adam Johnson si dipana attorno a una delle pratiche più assurde e crudeli che hanno connotato, a tutt’ora sembra connotino, il regime di Pyongyang, quella dei rapimenti di cittadini coreani e non, per soddisfare le esigenze più disparate della dittatura meno conosciuta del pianeta e dei suoi oligarchi.
Il protagonista, Pak Iun Do è, appunto, figlio di una cantante rapita negli anni ’80 e successivamente scomparsa, e di un padre influente, autorevole membro del partito e direttore di un grande falansterio-orfanotrofio, ove egli stesso passa i primi anni della propria vita, tra le più gratuite vessazioni paterne. In età adulta il nostro diventa un rapitore professionista, il cui folgorante “cursus honorum” lo impone presto nelle stanze segrete del presidente Kim Jong Il.
Il lettore assiste, così, a un susseguirsi di vicende stralunate, che hanno tutte per sfondo “la più grande nazione del mondo” secondo il lessico coreano, dove le sconcertanti “regole di ingaggio” e le incomprensibili direttive, cui deve sottostare Pak, vengono descritte con il rutilante linguaggio ufficiale delle TV e dei giornali nordcoreani, dove realtà e propaganda si contaminano e si sovrappongono al punto di diventare indistinguibili e, perciò stesso, non più definibili nei termini delle comune regole letterarie.
Gli occhi e le orecchie di Pak Iun Do e di Adam Johnson si trasformano nelle pagine del racconto in organi univoci, trascinando il lettore in un corridoio paradossale dove eventi e incubi fanno parte di un impasto normativo di forza e di imprevedibilità non comuni, che hanno lasciato di stucco la più attenta e seriosa critica letteraria USA.
All’improvviso, quando il lettore, esausto, sta perdendo la speranza di riuscire a districarsi nella tela dell’assurdo, un sorprendente colpo di teatro lacera l’inviluppo con un finale a sorpresa, dove agnizione e amore per la leggendaria attrice Sun Moon, producono gli effetti del miglior feuilleton ottocentesco.
Una simile risorsa è tipica, per certi versi, della narrativa americana e di essa si sono serviti molti autori di successo recenti e meno recenti (ricordiamo per tutti l’esempio di Phil Dick); ma nel “Signore degli orfani” l’epilogo raggiunge effetti di grande efficacia, come del resto, si legge nella motivazione del Premio Pulitzer della narrativa attribuito quest’anno alla fiction di Johnson. (Paolo Bonaccorsi)
questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero