29 maggio 2013

musica


 

SERATE MUSICALI

Gli ultimi quattro concerti della ricchissima stagione delle Serate Musicali – sicuramente la più generosa fra tutte le Istituzioni musicali milanesi che propongono abbonamenti annuali, con una stagione che peraltro non si è ancora conclusa – hanno offerto una alternanza sorprendente nella loro qualità. È vero che non si può pretendere sempre il meglio, specialmente in tempi di crisi, ma non possiamo nasconderci – e nascondere ai nostri lettori – alcune cadute di stile un po’ vistose.

Ottimo, per cominciare, il concerto di Piotr Anderszewski che ha eseguito due perfette Suite – la terza “inglese” e la quinta “francese” – di Bach inframmezzate da due opere non propriamente straordinarie come il “Sul sentiero erboso” di Janacek e la giovanile Fantasia opera 17 di Schumann. Suonando impeccabilmente ma con scarsa convinzione la prima Suite e con meravigliosa concentrazione la seconda, Anderszewski ha dimostrato quanto il comportamento del pubblico influisca sulla qualità dell’esecuzione: all’inizio il pianista era palesemente disturbato dai mille rumori provenienti dalla sala (come sarebbe bello che imparassimo ad astenerci dall’andare ai concerti quando siamo afflitti da tossi e raffreddori!), mentre alla fine, con il pubblico del Conservatorio finalmente votato a un religioso silenzio, ci ha regalato la più bella “Sarabanda” di Bach togliendoci letteralmente il fiato. In ogni caso una serata piena di interesse e di fascino, perché la musica dei grandi autori, anche quando non può essere annoverata fra i capolavori, merita sempre di essere ascoltata e considerata con la massima attenzione.

Tremenda, invece, l’interpretazione dei “Quadri di un’esposizione” offerta dal quarantenne pianista americano Nicholas Angelich; difficile immaginare una esecuzione più sciatta e infantile, incapace di cogliere le atmosfere create da Mussorgskij per la mostra di acquarelli del suo amico Hartmann (illustrate e ricreate da Ravel mezzo secolo dopo), e capace invece di frastornare il pubblico con fortissimi e pianissimi distribuiti insipientemente e con i tempi in selvaggia libertà. Un vero disastro.

Diversamente negativa è invece l’opinione che ci siamo fatti di un gruppo professionalmente molto impegnato e con un considerevole pédigrée: parliamo dell’orchestra d’archi denominata “Orchestra dei Talenti Musicali” (sic!) nata all’interno dell’Accademia Lorenzo Pelosi di Biella, emanazione a sua volta della Fondazione Cassa di Risparmio di Torino. Questa “talentuosa” orchestra era diretta dal noto – soprattutto come virtuoso – violinista Pavel Berman, figlio del grande pianista Lazar’ Naumovič Berman ma con qualche talento in meno per quanto riguarda la capacità di approfondimento dei testi musicali. Come i suoi illustri colleghi Ughi e Accardo, il giovane Berman non si accontenta di fare il virtuoso violinista ma fa anche il direttore d’orchestra con il risultato che non riesce a far bene né il direttore né il virtuoso e soprattutto il musicista. Il dilettantismo finisce fatalmente per prendere il sopravvento sulla professionalità.

Anche il programma era sconcertante: dodici Capricci di Paganini (dal n. 13 al n. 24), arricchiti da un improbabile accompagnamento o arrangiamento orchestrale a firma del bizzarro compositore lituano Giedrius Kuprievičius, seguiti dal più tranquillo sestetto “Souvenir de Florence” di Tchaikovskij, eseguito dall’orchestra intera. Con i Capricci sembrava di essere al circo, all’insegna del “sempre più difficile!“, con quel povero violinista che oltre ai funambolismi paganiniani doveva occuparsi dell’orchestra. (Si noti bene che Paganini era di dodici anni più giovane di Beethoven e di quindici più giovane di Schubert e arrivò a Vienna – già celeberrimo tanto che l’imperatore Francesco II lo nominò subito suo “virtuoso di camera“! – appena un anno dopo dopo la morte del primo e pochi mesi prima della morte del secondo. Argomento non trascurabile per un’analisi della differenza fra cultura mitteleuropea e cultura italiana a cavallo fra sette e ottocento. A prescindere, ovviamente, dal mondo del melodramma per il quale si deve rovesciare totalmente il giudizio).

Oltre a rendere i Capricci del nostro Niccolò ancora meno godibili di quanto non lo siano in originale, ci domandiamo perché trascrivere per orchestra d’archi il delizioso “Sestetto” di Tchaikovskij. Pëtr Il’ič adorava l’Italia e in particolare Firenze (vi si era recato per festeggiare i suoi cinquant’anni) anche perché lì la sua naturale eleganza trovava l’ambiente ideale; a Firenze scrive – in uno dei rari momenti di serenità e di ottimismo – quel “Souvenir” che è un vero gioiello di grazia e di armonia. Che bisogno c’è di snaturarlo facendolo eseguire da un ensemble di 17 elementi che fatalmente ne alterano gli equilibri, lo appesantiscono, gli tolgono leggerezza?

Per fortuna questa settimana è tornato alle Serate Musicale Andras Schiff, recente transfuga al Quartetto per eseguirvi l’integrale delle Sonate di Beethoven di cui abbiamo già detto, con un programma per lui abbastanza nuovo: due opere mature di Mendelssohn (le “Variations sérieuses” opera 54 e la “Sonata scozzese” opera 28) alternate a due opere giovanili di Schumann (la “Sonata in fa diesis minore” opera 11 del 1833 e gli “Studi sinfonici” opera 13 dell’84).

Dopo aver eseguito tutta la produzione per tastiera di Bach, tutte le sonate di Schubert e infine quelle di Beethoven, Schiff si apre al repertorio romantico e alla magica atmosfera degli anni d’oro di Lipsia (gli anni trenta e quaranta dell’ottocento, quando proprio Mendelssohn e Schumann dominavano la vita culturale cittadina e scoprivano la grandezza del vecchio Kantor sepolto nella Cattedrale di San Tommaso) e noi siamo corsi ad ascoltarlo. Ne riferiremo in questa rubrica la prossima settimana.

 

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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