22 maggio 2013

MILANO AL TEMPO DI “CROZZA DELLE MERAVIGLIE”


Anche Milano è entrata prepotentemente nel Paese delle meraviglie di Crozza e ci è entrata alla grande con i suoi grattacieli, la sua scombinata edilizia, l’Expo col suo misterioso “dopo expo” e i canali navigabili: i tormentoni milanesi. Vale la pena di rifletterci. Le maschere, i personaggi o gli argomenti nelle trasmissioni di Crozza si dividono in due grandi ambiti: uno quello che riguarda il mondo politico che non ama, la destra, l’altro quello che riguarda il mondo che ama, la sinistra.

Nel caso della destra non vi è scampo, le sue maschere sono personaggi inesorabilmente immutabili nella loro pochezza o nella loro scellerataggine, o icone del mondo berlusconiano: Briatore e gli chefs. Per la sinistra il gioco è più sottile: “castigat ridendo mores” sembra il suo intento. Il disperato tentativo di trattenere la sinistra dal ciglio del baratro della sua dissoluzione. Un tema ricorre sempre: l’incapacità di questa parte della classe politica a capire e ascoltare la gente, di interpretarne le aspirazioni, i desideri, le attese e le pulsioni e negare nei fatti, mentendo nelle parole, la possibilità di partecipazione.

Per la destra questo non è un problema, le attese di quegli elettori non ci vuol molto a capirle: o rientrano nella sfera dell’egoismo più becero o in quello della fiducia cieca nel supremo condottiero che sa dove sta il bene del suo popolo. La sinistra, avendo a che fare con una base tutt’altro che duttile e tutt’altro che priva di idee – ormai in grado di esprimerle e di farne patrimonio comune attraverso i social network- ha bisogno di trovare un consenso molto difficile da ottenere, eppure la via più facile e percorribile ha un nome: partecipazione.

Maledetta parola! Promessa, menzogna, incubo di chi governa e di tutta la sua burocrazia, sembra fatta apposta per scombinare le carte del potere ma questa è anche una delle sue funzioni. Ma anche fatica e pazienza da entrambe le parti: da parte di chi partecipa e di chi è partecipato. D’altro canto se la partecipazione è uno dei fondamenti della democrazia, ne condivide la premessa: un’incrollabile pazienza.

Chi non ama la partecipazione, pur dicendo di amarla, l’accusa di causare lentezza dei processi decisionali: non è vero. Il tempo impiegato a sviluppare meccanismi di partecipazione si risparmia nel processo deliberativo/attuativo perché non se ne interrompe la continuità a patto che gli strumenti attraverso i quali la si attua rientrino nel normale costume amministrativo e politico. Inventarla ogni volta questo sì che fa perdere tempo. D’altra parte, o siamo convinti che esista un sapere diffuso e collettivo che non solo va utilizzato ma evita anche errori e qualche volta l’inutile avvio di costose ricerche, o tanto vale dimenticare la parola partecipazione ma sopratutto non prometterla mai.

Chi chiedeva di essere ascoltato al momento di varare CityLife, temendo una futura contrazione del mercato, aveva torto? Chi andava dicendo che il “dopo expo” era un tema decisivo perché la città facesse coralmente suo questo evento, aveva torto e avrà soprattutto torto? Chi va dicendo che è necessario un ulteriore ripensamento sui futuri canali più o meno navigabili deve raccogliere firme per avere un minimo di udienza ufficiale? Chi lamenta una chiusura alle proposte legate sempre a Expo e a “fuori expo”, deve rassegnarsi a essere ignorato? Perché l’urbanistica viene gestita come un arcipelago di cerchi magici? E così elencando. Per finire, perché non si adotta un meccanismo di partecipazione vero, il che non vuol dire sancire nello Statuto comunale norme che “ammettono” l’intervento dei cittadini, invece di avviare procedure che stimolino i cittadini stessi a partecipare?

Dobbiamo aspettare che Crozza chieda alla sua platea di rispondere in coro su questi interrogativi?

LBG



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