22 maggio 2013

L’URBANISTICA DEI NON-URBANISTI NON È IL MEGLIO


Interessante il resoconto di Paolo Viola sul dibattito avvenuto alla Sala Buzzati sull’urbanistica. Interessante poi che ne abbiano parlato giornalisti, avvocati, filosofi ed economisti che si “sentono” urbanisti (senza peraltro esserlo), ma neanche un urbanista: segno di una certa sfiducia nella professione, che dà da pensare.

Dunque, l’idea è che la bellezza delle città sia impedita da norme e piani imposti in modo illiberale, senza i quali tutto funzionerebbe meglio. Ipotesi semplice e suggestiva, ma quanto fondata? Se andiamo a vedere le bellissime città del passato, romane, medievali, rinascimentali, forse a quei tempi non c’erano magistrati edili (lo si studia alle medie), norme sui reflui o contro gli incendi, per non parlare delle forme di governo ben più autoritarie (che infatti garantivano una certa snellezza attuativa, perlomeno)? Forse che il dibattito, il confronto, la competizione fra i diversi soggetti non era serrato, così come la ricerca del consenso?

Ma per passare in età moderna, forse le parti di Milano costruite alla fine dell’Ottocento all’esterno degli allora perimetri amministrativi, e quindi all’esterno del Piano Beruto, sono forse meglio di quelle costruite all’interno? (non direi proprio). E forse all’estero, in nazioni più liberali, non ci sono piani urbanistici? In Gran Bretagna lo ius edificandi è molto meno tutelato che da noi (per non parlare di Francia e Germania), e non a caso la campagna in tante parti si è mantenuta bella. Anche negli stessi Stati Uniti (molto differenti peraltro nei luoghi e nei tempi, non si può dare una valutazione unica), la libertà totale non c’è. E anche Von Hayek in “The Road to Serfdom” nel teorizzare lo stato minimo riconosce che fra le sue funzioni ineliminabili – assieme alla difesa militare e al battere moneta – ci sia quella di “decidere dove passano le strade” (e quindi di conseguenza l’edificazione).

Ma immaginiamo pure che tutta questa esperienza storica mondiale sia sbagliata, e che stiamo inventando qualcosa di completamente nuovo. Davvero non conosciamo parti del territorio costruite senza regole? Le aree fra Gallarate e Busto prima delle Legge-ponte, ad esempio. O la piana fra Napoli e Caserta. Sono forse belle? Ma lo sapete che gli studenti di architettura tedeschi vengono a Milano con i professori per studiare un caso di città realizzata “senza piano”? Quella che viene percepita negativamente all’estero (ad esempio dagli operatori immobiliari stranieri) non è affatto l’eccessivo peso dei regolamenti, ma al contrario l’eccessiva anarchia, le regole incerte, in continuo cambiamento, irragionevoli, piegate agli interessi particolari. Mentre sulla libertà nei cambi di destinazione d’uso e sull’eliminazione degli standard, forse qualcuno dovrebbe avvisare certi professori che questo è già avvenuto con due leggi regionali del 2001 e del 2005 (giusto una decina d’anni fa – certo non tutte le realtà amministrative l’hanno colto).

Insomma, nulla sembra provare che eliminando tutte le norme spunterebbe di colpo la bellezza. Ma forse è per questo che gli urbanisti non vengono invitati a questi dibattiti, sono noiosi, ricordano che i problemi sono difficili da risolvere, che ci vuole fatica. Mentre come è più piacevole sentirsi dire che tutto è facile, che basta un colpo di bacchetta magica! Siamo pur sempre quelli del paese dei balocchi…

Bizzarro però questo coinvolgimento del Corriere nella battaglia per la liberalizzazione dell’urbanistica. Oltre all’articolo di Pierluigi Battista del 9 aprile, ricordo un bizzarro parallelo con la letteratura di Richard Sennet il 13 aprile, addirittura in prima pagina (bizzarro perché era proprio la letteratura a non essere compresa). Ora questo dibattito, e di nuovo (19 maggio) la proposta di liberalizzare i cambi d’uso “per rilanciare l’edilizia”. Sarà forse un’osservazione maligna, ma c’entrerà magari la necessità di sanare i bilanci Rcs con qualche valorizzazione immobiliare? Come diceva A., a pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca.

Per finire, bizzarra anche l’idea della “pacificazione”. È un termine non bello, che spesso ricorda troppo il desiderio dei vincitori o di chi comunque è arrivato a una posizione di potere di non avere gente intorno che dia fastidio. Per “pacificare” poi bisogna essere prima essere stati in guerra, cosa che non mi sembra sia avvenuta. C’è invece (e ci sarà sempre) competizione, concorrenza e confronto (anche duro) sull’uso di una risorsa scarsa quale è il suolo. Ma è da questo confronto e da questa competizione che nel passato è nata anche la bellezza.

Giuseppe Vasta

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti