22 maggio 2013

sipario


 

TANTI AUGURI ALLA SCUOLA DI BALLO DELLA SCALA!

Fondata nel 1813 grazie al mecenatismo dell’impresario Benedetto Ricci, quest’anno 2013 la Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala compie duecento anni. In questi due secoli grandi e non pochi danzatori e danzatrici hanno completato (alcuni anche solo iniziato) la propria formazione coreutica e artistica: basti pensare a Carla Fracci, Luciana Savignano, Oriella Dorella, ai più recenti Massimo Murru e Roberto Bolle, nonché alla prima ballerina assoluta Alessandra Ferri, che ha iniziato la propria carriera proprio in via Santa Marta 18, per ritornare indietro nel tempo a grandi danzatrici come Carlotta Grisi, la prima Giselle, colei per la quale il balletto è stato ideato e coreografato, che nel 1825 conseguì diploma nella Scuola di Ballo tra gli allievi della seconda generazione.

Per festeggiare i due secoli di attività, è stato scelto il palco del Piccolo Teatro Strehler di Milano (ormai ‘classico’ per il saggio di fine anno) e lo spettacolo è andato in scena dal 28 aprile al 4 maggio. Il direttore Frédéric Olivieri ha ideato e coreografato un’ouverture sugli Studi di Carl Czerny, nella quale sono stati coinvolti tutti gli allievi dal corso I al corso VIII, che hanno dimostrato il vero studio con diagonali, adagi e allegri eseguiti ordinatamente sul palco, prima i corsi misti inferiori, poi crescendo i corsi maschili e quelli femminili in punta. Terminati i saluti, gli allievi dei corsi inferiori (I-III) hanno raggiunto la galleria per incoraggiare i propri compagni più grandi e fare quasi il ‘tifo’ per loro.

Il programma proseguiva con una revisione di Paquita, il balletto romantico ideato per la stessa Carlotta Grisi e ripreso da Marius Petipa nel 1881, che appartiene ormai da anni al repertorio della Scuola di Ballo. La vicenda, ambientata nella Spagna occupata da Napoleone, narra della gitana Paquita che salva un ufficiale francese dalla morte per mano del governatore spagnolo; dopo una serie di peripezie, si scopre che Paquita in realtà è una nobile francese rapita dagli zingari e perciò non c’è più nessun impedimento alle nozze con l’ufficiale. Nella revisione semplificata, dove rimangono un divertissement dei gitani, un pas de trois del governatore, il gran pas d’amour (adagio, variazione femminile, variazione maschile e coda) dei protagonisti e la conclusione a lieto fine, gli allievi si sono cimentati nelle maggiori difficoltà della danza accademica, cioè il ballo d’insieme, il passo a due, i virtuosismi degli assoli e l’interpretazione dei personaggi.

La serata si è conclusa con una novità nel repertorio: la suite da Gaîté parisienne di Maurice Béjart. La coreografia, molto ricca e dalla frivola e frizzante ambientazione della Parigi di fine Ottocento, prende spunto dalla vicenda autobiografica del coreografo: infatti, si trova un giovane che si reca a Parigi per studiare danza, il quale viene considerato inadatto alla danza e disobbediente alla severissima insegnante. Per sfuggire alla durezza dello studio, inasprito dalla severità della maestra, il giovane si rifugia in un mondo di fantasia, dove viene apprezzato dalla maestra e dalla danza stessa. Di grande impatto scenografico è stato il can-can finale (Offenbach) dai vivacissimi colori che ha impegnato tutti gli allievi, nonché il pezzo di apertura danzato senza musica dagli allievi (uomini) più maturi di notevole difficoltà e suggestione.

Gli allievi hanno dovuto dimostrare che cosa hanno appreso durante l’anno e come lo hanno fatto: si sono cimentati dallo studio posturale, alla tecnica della punta e dei salti, fino all’interpretazione del repertorio romantico e di quello novecentesco, dalle avanguardie della Modern Dance al contemporaneo introspettivo. Lo spettacolo è stato di grande qualità, gli allievi hanno mostrato una grande familiarità con il palco, regalando agli spettatori (non solo genitori e parenti degli allievi) una piacevole serata ricca di arte, bellezza e disciplina.

Domenico G. Muscianisi



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