22 maggio 2013

musica


 

I RAZUMOVSKIJ

Sono i tre Quartetti (in fa maggiore, mi minore e do maggiore) dell’opera 59, che Beethoven ha scritto nel 1806 e pubblicato nel 1808, dedicati al conte Andreij Kirillovic Razumovskij, allora ambasciatore russo a Vienna, esecutore e compositore a sua volta di Quartetti che non hanno trovato posto nella storia della musica.

Questi tre capolavori nascono negli anni più straordinari – per quantità e qualità della produzione – della vita di Beethoven, quelli che vanno dal 1803 al 1808, durante i quali scrisse ben quattro Sinfonie (dalla Terza alla Sesta), alcune fra le più celebrate Sonate per pianoforte (fra cui la 21, Aurora o Waldstein, e la 23 detta l’Appassionata), la Sonata a Kreutzer, il Triplo Concerto opera 56, il quarto Concerto per pianoforte e orchestra opera 58, il Concerto per violino e orchestra opera 61, la Sonata per violoncello e pianoforte opera 69, i due Trii dell’opera 70, la Messa in do maggiore e le due versioni del Fidelio.

Appena prima di questa valanga di opere scriveva (nel terribile testamento di Heiligenstadt dell’ottobre 1802) “O uomini, che mi reputate e definite astioso, scontroso e addirittura misantropo, quanto siete ingiusti verso di me!” e più avanti “Vieni quando vuoi, morte, io ti verrò incontro coraggiosamente“; per fortuna visse ancora venticinque anni, afflitto da una sordità praticamente totale, e nei primi cinque riuscì a scrivere, a dispetto dello stato d’animo, quell’inverosimile quantità di capolavori!

Tre di questi sono proprio quei Razumowskij eseguiti martedì scorso al Conservatorio nella serata conclusiva della stagione della Società del Quartetto; con essi si è giunti a metà dell’opera – l’integrale dei quartetti beethoveniani – che si completerà l’anno prossimo con i concerti del 18 febbraio, dell’11 marzo e del 15 aprile, durante i quali ascolteremo gli ultimi tre quartetti dell’opera 18 (quest’anno ne sono stati eseguiti i primi tre), il quartetto detto “Le Arpe” per via del pizzicato negli arpeggi del primo tempo, e quelli che portano i numeri d’opera estremi 130, 131, 132 e 133 (l’ultimo, opera 135, è stato eseguito nel primo concerto della serie).

Il conte Razumowskij commissionò a Beethoven “alcuni quartetti su melodie russe” subito dopo la disfatta militare austro-russa di Austerlitz (2 dicembre 1805), forse per una sorta di rivincita morale e culturale sulla odiata Francia napoleonica; Beethoven prese molto sul serio la “commessa” (anche se ne ritardò la composizione), sia perché condivideva lo spirito patriottico del Conte, sia perché mirava a entrare nelle grazie dello zar Alessandro I, fatto sta che ne uscirono tre capolavori.

Il loro carattere emerge soprattutto nei tempi lenti che hanno una espressività molto particolare; nel primo Quartetto il secondo movimento “Adagio molto e mesto” è straziante (la sconfitta di Austerlitz?), paragonabile per intensità e tragicità a quel “Largo e mesto” della Sonata in re maggiore opera 10 numero 3 per pianoforte, di qualche anno prima, su una copia del quale Beethoven scrisse di suo pugno “da eseguirsi come discoprendo la tomba della propria madre” (G. Guanti). Il “Thème russe” che viene subito dopo sembra voler lenire quel dolore, e anche questo lascia supporre che le vicende belliche e politiche fossero ancora ben presenti a Beethoven. Nel secondo Quartetto il “Molto adagio” è costituisce il terzo movimento ed è molto più sereno, quasi elegiaco; ha un sentore vagamente schubertiano (ma Schubert nel 1806 aveva solo nove anni e fu lui, pochi anni dopo, ad adorare letteralmente Beethoven!) tanto che, molto giustamente, i quattro musicisti di Cremona lo hanno eseguito quasi come fosse un “Arioso”. Infine, nel Quartetto numero tre, al posto di un Adagio vi è un “Andante con moto quasi allegretto” con il quale Beethoven finalmente – nonostante Napoleone imperversasse ancora – si riappacifica col mondo intero e trova una serenità che sembrava perduta nei due lavori precedenti. Le ragioni della musica prendono il sopravvento sui sentimenti patriottici e i Quartetti si concludono con un “Minuetto-Grazioso” di cui Quirino Principe sottolinea l’effetto di sorridente umorismo e con un “Allegro molto” che – dice ancora Principe – è uno dei tempi quartettistici di Beethoven più carichi di energia.

I tre Quartetti dell’opera 59 costituiscono dunque un insieme inscindibile in cui, osserva Gerald Abraham, è “molto marcata la tendenza al sinfonismo“; non a caso, ma perché, come abbiamo visto, nello stesso periodo Beethoven era impegnatissimo nella composizione delle sue prime importanti Sinfonie.

Della bravura del Quartetto di Cremona abbiamo scritto un mese fa, in occasione della serata precedente. Quest’ultimo concerto, che ha rafforzato il giudizio più che positivo meritato dalla compagine, può essere annoverato fra le grandi occasioni che la città offre agli appassionati di musica.

 

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti