11 maggio 2009

DOV’E’ FINITA LA PSICHIATRIA DEMOCRATICA


E’ innegabile l’aumento esponenziale delle richieste di aiuto rivolte ai servizi psichiatrici. Questo dato reale viene spesso citato per giustificare le difficoltà del settore: l’affluenza supera di gran lunga le capacità di risposta delle istituzioni. Miguel Benasayag, psichiatra argentino che opera a Parigi nel campo dell’infanzia e dell’adolescenza, parte dallo stesso dato ma vi legge un cambiamento qualitativo, un malessere che siamo impreparati ad affrontare. Anche Freud aveva parlato di “Disagio della civiltà” (1930) criticando il mito di un progresso come redenzione laica e felicità garantita … ma, paradossalmente, è stato anche lui inserito nei “grandi” progressi scientifici dell’umanità.

Ora Benasayag prende a prestito il termine di Spinoza per parlare di “Epoca delle passioni tristi” (titolo del saggio pubblicato da Feltrinelli), ovvero della tristezza del nostro tempo che viene dall’impotenza e dalla disgregazione. Non c’è più il mito del futuro (“le magnifiche sorti e progressive …”) ma la minaccia del futuro. Inquinamenti, guerre, nuove malattie e ora anche il disastro economico riempiono il cielo di nuvole nere. Se le scienze progrediscono, contemporaneamente cresce la sfiducia e la delusione nei loro confronti. E questo futuro imprevedibile e minaccioso angoscia soprattutto le nuove generazioni (o perlomeno rende vuoti i vecchi paradigmi ottimisti/positivisti). Certo non può la psichiatria dare risposta a tutti i mali sociali

Se è in crisi il principio di autorità perché prevale il mito della libertà individuale. Se si è persa la connessione tra autorità e anteriorità (cioè il valore dell’anzianità e dell’esperienza) non basterà una psicoterapia a ristabilirla socialmente. Certo che oggi la psichiatria arretra. Rinuncia spesso alla diagnosi, opera attraverso classificazioni (DSM – Manuale Statistico e Diagnostico dei disturbi mentali, prodotto dall’APA –Associazione degli psichiatri americani). Ma con la classificazione e l’etichetta (anche innovativa bipolare, borderline, ecc.) si crede di rendere visibile l’essenza di un disturbo ma in realtà si rischia di rendere invisibile la persona, di ridurla al sintomo (bersaglio del farmaco). Benasayag ricorda il principio esistenzialista di Sartre “L’esistenza precede l’essenza”. Il saggio non ha una risposta, una “chiave che mondo possa aprirti”, semplicemente ci dice che non possiamo far finta che il mondo non sia cambiato. Propone come terreno di lavoro “una clinica del legame”, abbandonando il mito sociale dell’autonomia.

Pensando alla nostra realtà italiana che ha “sommessamente ricordato il trentennale della Legge 180/1978” (come scrivono in una Lettera Aperta che pubblichiamo in questo numero alcuni psichiatri democratici milanesi), molti quesiti vengono sollecitati. Da stakeholder sociale della psichiatria (né tecnico né psichiatra) non posso non cogliere la “medicalizzazione” dei servizi pubblici, l’esplosione del consumo farmacologico. Soprattutto col passaggio amministrativo (1998) della Psichiatria agli Ospedali (SPDC), il lavoro territoriale (CPS) è stato sottovalutato e sottodimensionato (come denuncia la Lettera Aperta). Siamo dunque al paradosso che di fronte ad un aumento della domanda a cui potrebbe corrispondere un’autorevolezza sociale, un investimento, una centralità, assistiamo invece a un’implosione della psichiatria pubblica schiacciata tra burocrazia ospedaliera, case farmaceutiche, restrizioni di budget e personale, sospetto e controllo politico, carriera e rischio professionale.

Occorrerebbe una ripresa forte di pensiero e azione. Occorrerebbero nuove “passioni gioise” come quelle della stagione di Basaglia e delle imprese impossibili. Ma quella generazione va in pensione o è stressata dai DRG.

Dove è finita la “psichiatria democratica”?

 

Piervito Antoniazzi



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