11 maggio 2009

IN CITTÀ PIÙ ARCHITETTURA E MENO CUBATURA


Probabilmente il maestro Abbado la faccenda dei 90000 alberi l’ha detta davvero come una battuta. Una battuta musicale come quella che Haydn usava per svegliare gli ascoltatori appisolati, nella Sinfonia 94, “La Sorpresa”, Mit dem Paukenschlag, con il colpo di timpano. E naturalmente la grancassa mediatica, con il Sindaco in testa è stata rapida nell’accodarsi e anzi nell’ingigantire la battuta, andando come sempre fuori del rigo. 90.000 alberi! Se sono di alto fusto e un po’ fronzuti ho calcolato che ogni albero richiede un cerchio di 5metri di raggio più almeno un metro per parte d’aria tra una pianta e l’altra – per il mio giardino sono stime conservative. Facendo quattro calcoli sarebbero circa 8 kmq e cioè vicino al 4% della superficie comunale. Non è poco, sa di cosa parla il nostro sindaco? Ma soprattutto dove li vogliamo mettere?Non sono contrario al verde in città, ma m’infastidiscono l’ideologia e quello che gli americani chiamano il “tokenismo”, cioè la finta carità che fanno i ricchi ai poveracci. Quando sento rappresentanti delle due imprese che hanno devastato il territorio italiano, petrolio e mattone, parlare entusiasticamente di piante e di ambiente, non faccio come Mussolini che metteva mano alla rivoltella, ma certo una mano sulle terga me la pongo.


A mio parere le città devono essere soprattutto ben costruite, è l’architettura non la natura (o la semplice cubatura) che ci vuole in città. Mario Fubini, il grande italianista, tutte le volte che doveva attraversare il cortile della Statale soffriva per il praticello messo lì nel bel cortile del Filarete in via Festa del Perdono, che è un po’ come mettere una cravatta da venditore Fininvest sul tight per la consegna dei premi Nobel. Leonardo Benevolo mi ha spiegato in modo convincente che il parco della Villa Reale di Monza era stato pensato a prato per permettere la vista delle montagne. Convincente, perché nel giardino della casa di mia madre è successa la stessa cosa delle belle piante, piantate da noi – lo so perché ho le foto storiche del luogo, che era coltivato a ortaggi senza una pianta- sono cresciute e non vediamo più il Monte Rosa. Non sono le città che hanno bisogno di piante, ma quell’area che si è estesa come una lebbra nelle aree rurali per far soldi agli industriali del mattone, del petrolio e dell’informazione. Sono infatti l’auto privata a costi stracciati dell’energia che combinandosi con le tecnologie dell’informazione hanno permesso a milioni di persone di trasferirsi lontano dalle città in una similcampagna devastata dal mattone e dall’asfalto.

É stata questa comoda ma esiziale combinazione a distruggere l’ambiente, non la pietra delle città. In cui ogni albero a) deve essere comperato e piantato b) occupa uno spazio che contribuisce a spostare le persone dai centri allo “sprawl” c) deve essere irrigato, con l’acqua dell’acquedotto d) sporca e deve essere mantenuto – e protetto dalla pipì di cani e umani e) deve essere irrorato contro gli insetti e d) provoca allergie agli umani. Qualcuno ha mai fatto il vero bilancio ambientale dell’albero in città?


Io ho un’idea di città molto diversa: la città deve esser urbana, cioè densa, compatta e ben costruita, con più persone (e possibilmente meno macchine) che piante. Il verde (acqua permettendo) lo possiamo mettere nelle case o sui terrazzi o in grandi porzioni nel tessuto metropolitano, dove viene irrigato e si mantiene spontaneamente. Nello stesso momento in cui promette 90000 piante, quel medesimo comune di Milano che vende ai lettori un’immagine “verde”, sta pensando di distruggere una delle poche aree di verde socializzato e funzionante della città, l’area di San Siro, che dovrebbe invece essere considerata uno dei patrimoni della memoria storica della città. Forse il maestro Abbado vorrebbe spendere un po’ della sua influenza per aiutarci a preservare quest’area verde, ma con dentro anche un po’ di animali bipedi e quadrupedi?

Guido Martinotti



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