11 maggio 2009

GLI INVISIBILI


Della questione della presenza dei Rom a Milano si è discusso a lungo. Per chi vive e lavora in certe aree della città il problema, forse, non esiste nemmeno: si passa via veloce ignorando la ragazza o l’uomo seduto per terra mentre chiede l’elemosina, non ci si accorge delle baracche di legno costruite, e oggi in parte distrutte, quando per mesi sono sorte sotto i ponti ferroviari, i raccordi autostradali e le aree dismesse.

Vero è che il numero di questi accampamenti è quantitativamente cresciuto, e questo è in parte dovuto alla disastrosa condizione economica di paesi come la Romania, dove i Rom sono stati letteralmente cacciati dalle loro case (e non dalle baracche di compensato alle quali ci siamo abituati), e i loro villaggi bruciati.

I Rom costituiscono un reale problema per quanti, invece per sorte, vivono in stretto contatto con queste comunità. Il nostro vicesindaco, che ha fatto dello sgombro dei campi nomadi la propria bandiera, ha ordinato e ottenuto come molti, o quasi tutti, questi “villaggi abusivi” sorti sotto i ponti delle ferrovie o in edifici abbandonati, venissero sgomberati e demoliti. Su questo tema si legga qui a fianco l’articolo “A proposito di sicurezza. La gestione dei campi nomadi” di Emilia Dragonetti, o su YouTube l’intervista a Anna Gorio e Tonio Curagi, registi del film documentario “Via San Dionigi 93” della casa di produzione Officine Ubu.

Uno degli intervistati, che della cura e del controllo dei nomadi ha fatto la propria temporanea professione, riporta come, in un paese come il nostro – perennemente sottoposto a forzati “periodi pre-elettorali”- anche la questione dei senza fissa dimora finisce col diventare un puro e semplice gioco politico, uno strumento di facile e immediato appeal per una qualsiasi campagna elettorale a ogni livello: soprattutto nell’hinterland interi consigli comunali sono stati rispediti a casa e prontamente rimpiazzati proprio sul tema del rapporto tra gli abitanti “stanziali” e i villaggi abusivi.

La sensazione, di fronte all’incapacità progettuale e di governo del territorio di molte amministrazioni, è che si preferisca quasi sempre intervenire sul tema diffuso della “paura”: paura della violenza, paura negli spostamenti, paura per l’incolumità fisica dei propri familiari. Non si tratta qui di difendere nessuno in palese violazione del codice penale ma l’impressione è quella di veder colpire il più duramente possibile l’anello più debole della società attraverso interventi di grande impatto mediatico ma di nessun potere risolutivo.

E’ vero, il Comune stanzia fondi per la cura e la manutenzione dei campi nomadi “regolari”, ma su come questi fondi e a vantaggio di chi vengano elargiti, questa è una questione avvolta nel mistero: non è ben chiaro chi decida quando, come dove e in merito a cosa questi quattrini vengano distribuiti. Questa semplice questione ha ovviamente scatenato enormi polemiche e bagarre tra tutti i gruppi, laici e non, che da tempo lavorano con e per i nomadi, non riuscendo quindi a costituire un gruppo di azione compatto a tutela dei diritti dei nomadi.

Rimane poi la vera questione di fondo: con grandi annunci, immagini apocalittiche fornite ai lettori e agli ascoltatori dalle reti televisive nazionali, i campi nodi abusivi sono stati sgomberati. E quindi? Quale fine hanno fatto gli sgomberati, adulti e bambini, i loro oggetti personali e le loro povere masserizie: alcuni sono stati accolti dai centri sociali (altri nemici giurati del vicesindaco), altri si sono spostati qualche centinaio di metri più in là: un po’ più nascosti, un po’ più guardinghi, o hanno trovato nuovi edifici dismessi. A nessuno venga il sospetto che questi famigerati rom si siano magicamente volatilizzati o che se ne siano tornati “a casa loro”. Siamo noi che non li vediamo, fino alla prossima puntata.

 

Filippo Beltrami Gadola



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