15 maggio 2013

arte


 

IL TEATRO FOTOGRAFICO DI JEFF WALL

Al PAC fino al 9 giugno è possibile vedere Jeff Wall-Actuality, la prima grande retrospettiva italiana del grande fotografo canadese. Curata da Francesco Bonami, l’esposizione presenta 42 opere, alcune inedite, che raccontano con temi a volte forti, a volte surreali, la carriera di uno degli artisti contemporanei più amati e stimati.

Le opere di Wall sembrano immagini scattate all’improvviso, azioni catturate all’insaputa dei protagonisti, attimi di vita che raccontano storie urbane e quotidiane, in cui ognuno può facilmente riconoscersi. A ben guardare però, ecco che le fotografie sono in realtà studiatissime, preparate e studiate nei minimi dettagli per suscitare stupore, ansia, inquietudine e per lasciare domande irrisolte, su cui lo spettatore si arrovellerà per tutto il corso della visita. Un processo lungo e metodico, come spiega l’artista stesso, che impiega giorni e a volte settimane intere per provare uno scatto, posizionando attori e oggetti nella composizione da lui immaginata. Se il risultato non è perfetto, ecco che Wall interviene in post produzione modificando digitalmente le immagini.

I temi esplorati da Wall non sono mai leggeri: violenza, povertà, razzismo, tensioni sociali. C’è ad esempio Mimic, opera celebre del 1982, in cui una coppia cammina per strada facendo il verso a un asiatico che cammina lì accanto; oppure c’è Insomnia, angosciante ritratto di un uomo sfinito dalla sua misera vita, che cerca di addormentarsi sotto il tavolo della cucina. Wall
spazia da scenari claustrofobici a scene apparentemente insignificanti, come l’affascinante Morning Cleaning Barcelona (1999) o i dettagli di rami e arbusti tagliati, sporchi di rifiuti, simbolo del degrado urbano delle grandi città a cui nessuno di noi, ormai, presta più attenzione.

Dai suoi scatti emerge una predilezione per gli angoli che sembrano dimenticati e abbandonati, come le finestre sbarrate di Blind Window o i muri scrostati della serie Diagonal Composition (1993 – 2000). Una fotografia fatta di citazioni e riproposizioni dei grandi artisti della storia dell’arte, come se i protagonisti di immagini come In front of a Nightclub (2006) diventassero gli attori di un inaspettato tableaux vivant.

In mostra anche i famosi “lightbox“, foto luminose mutuate dal linguaggio pubblicitario tipicamente americano e segno riconoscibile del suo lavoro di lunga data, iniziata nel 1978. Pioniere della fotografia concettuale o post-concettuale della cosiddetta “Scuola di Vancouver”, con le sue riflessioni Wall ha aperto la strada a innumerevoli artisti influenzandoli con il suo mondo immaginifico e con il suo sistema di lavoro studiatissimo e dettagliato.

JEFF WALL / ACTUALITY PAC Padiglione d’Arte Contemporanea, fino al 9 giugno 2013, Orari lunedì 14.30 – 19.30, martedì – domenica 09.30 – 19.30, giovedì 09.30 – 22.30 Biglietti euro 8,00 intero, 6,50 ridotto

 

 

LE RANE NEL NAVIGLIO

Se vi dovesse capitare di passare per il Naviglio Grande in queste settimane, certamente notereste che l’alveo del fiume, così come alcune case circostanti, sono stati invasi da rane colorate. No, non sono i postumi di una serata troppo allegra, bensì il lavoro di un collettivo internazionale di sei artisti, il Cracking Art Group, che in occasione del FAN (Festival dell’acqua sui Navigli) ha addobbato la città con migliaia di ranocchie colorate.

Gli artisti del Cracking Art Group hanno da sempre lavorato con forme animali (pinguini, tartarughe ecc), e con materiali di recupero, nell’ottica di un impegno ambientale e sociale usando materie plastiche biodegradabili per riprodurre organismi animali. Durante la performance di apertura gli artisti hanno gettato, accompagnati dal pubblico, 5mila rane di plastica colorata, che hanno invaso il Naviglio Pavese, quello Grande e i balconi delle case antistanti, non solo a Milano ma anche in altri comuni del sistema dei Navigli.

Una invasione positiva questa di PIENADIRANE, e con un buono scopo. Così come era stato per le chiocciole che avevano invaso anni fa Palazzo Reale e piazza della Scala, e di recente le terrazze del Duomo (ve le ricordate? erano centinaia di chioccioline blu che si affacciavano tra una guglia e l’altra), Cracking Art Group ha deciso di vendere le sue rane per beneficenza.

Gli artisti infatti doneranno mille sculture-rana di piccole dimensioni all’ente promotore Navigli Lombardi per contribuire al recupero delle chiuse leonardesche della Conca dell’Incoronata, in San Marco, e in generale per la riqualificazione dei Navigli. Si può acquistare una rana al costo di € 20.00 scrivendo a info@navigliacquafestival.it oppure recandosi presso lo spazio lounge di FAN – Navigli Lombardi Acqua Festival – Alzaia Naviglio Grande 6 tutti i giorni dalle h11,00 alle 20,00 a partire dal 6 aprile per tutta la durata del Festival.

Installazione visibile fino al 20 maggio

 

 

LA POP ART DI WARHOL E LE STAMPE A DIAMANTI

Settimana scorsa, come già anticipato, al Museo del 900 c’è stata l’apertura a ingresso gratuito della mostra Andy Warhol’s Stardust. Stampe dalla collezione Bank of America Merrill Lynch, a cura di Laura Calvi. Protagoniste le brillanti, e preziosissime, stampe di Andy Warhol, artista sopra le righe e padre della Pop Art americana. Lo stardust indicato nel titolo richiama davvero la polvere di diamante usata per rendere brillanti e uniche queste stampe, ma anche tutta quell’allure che da sempre circonda il nome e il lavoro di Warhol stesso.

Dagli anni ’60 agli anni ’80, la mostra ripropone i soggetti più noti creati dall’artista di Pittsburgh.

Imperdibili i Flowers in tonalità fluo, le indimenticabili Campbell’s Soup, i divertenti Fruits e i meno noti, ma altrettanto vivaci, Sunset. Un procedimento di lavoro, quello di Warhol, molto simile a quello dell’artista contemporaneo Damien Hirst. Entrambi hanno affidato, e affidano, la produzione dei loro lavori ad assistenti specializzati, nel caso di Warhol c’era addirittura la famosa Factory a “servirlo”, e solo alla fine i due maestri ritoccano e aggiustano dei dettagli con il loro tocco personale. Tocco che fa lievitare le loro opere a diversi milioni di dollari. Ma d’altra parte quelle di Warhol erano opere Pop, nate e pensate per essere vendute e riprodotte in gran quantità, in linea con la produzione di massa, anche artistica.

Oltre ai fiori e ai frutti, da ammirare anche i celebri volti ritratti da Warhol: Mohammed Alì, Marylin, e le copertine di “Interview” create appositamente dall’artista, che sponsorizza, tra l’altro, i “suoi” Velvet Underground e la loro famosa banana-simbolo. Personaggi reali ma non solo. Nella serie dei Myths Warhol rappresenta Topolino e gli eroi dei fumetti, dando loro la stessa effimera concretezza dei personaggi di Hollywood e dello spettacolo, mettendo insieme la collezionista Gertrude Stein, Babbo Natale, Einstein, Superman e i fratelli Marx.

Nuove nel taglio anche le didascalie, non più banali cartellini descrittivi ma etichette a muro in colori fluo, con interessanti citazioni dell’artista e dei suoi contemporanei che ne spiegano e approfondiscono il lavoro, dando anche un quadro generale su quegli anni e sulle difficoltà economiche, razziali o semplicemente raccontando aneddoti legati alle opere.

L’allestimento intero, a cura di Fabio Fornasari, ricorda la corsia di un supermercato, in cui le opere d’arte sono esposte con la stessa freddezza e precisione dei prodotti di consumo quotidiani, in cui è possibile, virtualmente, comprare le lattine Campbell e i frutti di stagione, insieme alle riviste di musica rock, con una spolverata di polvere di diamanti.

Andy Warhol’s Stardust. Stampe dalla collezione Bank of America Merrill Lynch, Museo del 900, Fino all’8 settembre Orari lunedì 14.30 – 19.30 martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30 – 19.30 giovedì e sabato 9.30 – 22.30 Ingresso intero 5 euro ridotto 3 euro

 

 

LA LIBERTÀ DAL DOPOGUERRA A OGGI

Che cosa significa libertà oggi? Com’è cambiato questo vocabolo dall’Illuminismo alle tragedie socio-politiche che hanno accompagnato la seconda metà del Novecento? C’è ancora posto per una libertà artistica che sia azione concreta? Che cosa potrebbe significare oggi questa parola letta da artisti europei diversi tra loro per età, percorso, Paese e storia politica?

Queste risposte prova a darle Desire for freedom. Arte in Europa dal 1945, mostra collettiva che affronta l’idea di libertà in Europa dal dopoguerra in avanti, attraverso 200 opere d’arte che esprimono il pensiero e le creazioni di 94 artisti contemporanei provenienti da 27 diversi Paesi europei. Realizzato su iniziativa del Consiglio d’Europa e con il sostegno finanziario della Commissione europea, il progetto è frutto della collaborazione internazionale di 36 Paesi membri del Consiglio stesso, che hanno coinvolto artisti, studiosi, curatori, musei, gallerie e importanti collezionisti privati.

Il progetto nasce con l’obiettivo di superare la visione di un’Europa del dopoguerra come teatro dell’ostilità tra due blocchi di potere contrapposti, assumendo invece come punto di partenza l’idea che entrambe le parti affondino le radici comuni nell’Illuminismo e nei suoi valori: ragione, libertà, giustizia, uguaglianza. Il percorso non ha un senso cronologico o geografico, ma si apre invece con un percorso circolare (reso ancora più arduo dalle labirintiche sale e corridoi di Palazzo Reale), che si sviluppa in 12 sezioni, ognuna dedicata a un tema.

Si inizia con il Tribunale della Ragione, in nome della quale spesso sono state commesse le peggiori violazioni dei diritti dell’uomo e sul cui ruolo gli artisti si interrogano; si prosegue con le utopie in La rivoluzione siamo noi, ispirata all’opera omonima di Joseph Beuys del 1972; la terza tappa è il Viaggio nel paese delle meraviglie, che racconta la capacità dell’arte di riscrivere la narrazione e la storia, ridefinendo anche la nostra coscienza storica collettiva.

In Terrore e tenebre l’arte mette il visitatore di fronte al regime del terrore e alla violenza delle torture che arrivano a privare la società dei principi di fratellanza e solidarietà. Con Realismo della Politica l’arte misura il ruolo dell’azione politica nel bilanciare gli interessi della società civile e la sua capacità (o incapacità) di risolvere i conflitti pacificamente; mentre la Libertà sotto assedio, dimostra la fragilità di questa parola, colpita ieri come oggi da orrori e violazioni dei diritti umani.

In 99 Cent gli artisti si confrontano con il difficile rapporto tra la vita incentrata su valori immateriali e la spinta verso il consumismo che pervade la nostra società, a discapito di tutto, come raccontano le grandi fotografie di Andreas Gursky. Con Cent’anni gli artisti fanno riferimento all’eternità per ridimensionare il presente e sottolineare l’importanza della cura dell’ambiente e delle risorse che ci circondano, legandosi alla sezione precedente.

Il rapporto dell’arte con il concetto dell’abitazione, fonte di sicurezza e riparo ma anche canale di comunicazione con l’esterno, è invece il nucleo di Mondi di vita; così come L’altro Luogo, al contrario, analizza i mondi creati dall’arte come vie di fuga, nuovi orizzonti possibili in opposizione a ciò che ci circonda. Esperienza di sé e del limite entra nel merito della conoscenza dei propri limiti e dei confini tra sé e l’altro, cercando di definire cosa ci rende umani e come vorremmo essere nel prossimo futuro. Con Il mondo nella testa la mostra chiude il cerchio testimoniando come la fonte delle nostre idee, Ragione compresa, e della conoscenza della realtà è e rimane anche per l’artista la nostra mente.

Le opere in mostra serviranno quindi a mostrare la visione di ciascun artista sul tema e a rispondere agli interrogativi connessi al tema della libertà individuale e collettiva, che è poi un invito più ampio a riflettere sul senso stesso dell’arte in un’epoca così travagliata. I nomi sono quelli di alcuni grandi protagonisti degli ultimi decenni, come Gerhard Richter, Mario Merz, Christo, Richard Hamilton, Niki de Saint Phalle, Alberto Giacometti, Damien Hirst, Arman, Jannis Kounellis, Yves Klein, Emilio Vedova e molti altri.

Desire for freedom. Arte in Europa dal 1945 – Palazzo Reale, fino al 2 giugno. Orari: Lun: 14-30-19.30, Mar-Dom: 9.30-19.30, Giov e Sab: 9.30-22.30. Biglietti: € 9,50/ 6,50 comprensivi di audioguida

 

 

I TRE CROCIFISSI DI FOPPA

Dal 19 marzo il Museo Diocesano ospita un dipinto prezioso, proveniente dall’Accademia Carrara di Bergamo, e ben adatto alla imminente Pasqua: I Tre Crocifissi di Vincenzo Foppa. L’opera, data generalmente dalla critica al 1456, è stata invece attualmente riletta al 1450, come sembrerebbe essere scritto sui parapetti marmorei che circondano la scena, e farebbe dunque diventare questa tavola, fatta per la devozione privata, un importante anticipo sull’evoluzione del gusto artistico in Lombardia.

Vincenzo Foppa, bresciano, artista innovativo che ha lavorato anche per gli Sforza tra Milano e Pavia, in questa tavola, il cui committente ci rimane ignoto, ha creato una scena sacra che va oltre le abituali visioni del fatto, e anzi aggiunge un clima di reale sospensione, rendendolo quasi una scena quotidiana e umana.

Affidandosi ai Vangeli sinottici, lascia il Cristo abbandonato a se stesso, senza le pie donne o san Giovanni, generalmente rappresentati, ma solo circondato dai terribili due ladroni. Composto quello di sinistra, colui che alla fine credette, con una posa ritorta e disperata quello di destra, tormentato nel fisico e nell’espressione, pressato da un demonio sopra la sua croce.

Quello che colpisce davvero è la tridimensionalità dei corpi, che riprendono sfacciatamente le novità padovane di Donatello, costruiti con un gioco di chiaroscuri decisamente in anticipo sui tempi. E in effetti la cultura figurativa di Foppa sembra essere davvero di ascendenza veneta: c’è memoria non solo dello Squarcione, maestro di Andrea Mantegna, ma anche e soprattutto di Jacopo Bellini e dei suoi disegni, nel monumentale arco che inquadra la scena e nelle teste di antichi imperatori romani.

Altra interessante notazione è sull’uso della prospettiva. Una prospettiva che fa emergere i corpi, in particolare quello del Cristo, che sembra quasi arrivare a toccare la cima dell’arco, e che si impone subito agli occhi dello spettatore. Una prospettiva però ritenuta per alcuni anni anche “sbagliata”, come può sembrare se si osserva il paesaggio sullo sfondo, ancora bidimensionale e favolistico, di gusto ancora tardogotico, e per il quale si è proposto un confronto con il nome di Gentile da Fabriano. In realtà la tavola si avvale di una doppia prospettiva, che oltre a creare le diagonali delle croci, ha anche un punto di fuga rialzato, pensato per una visione dal basso da parte del fedele, che avrebbe dovuto meditare, inginocchiato, davanti ai Sacri Misteri.

Ecco perché la datazione diventa fondamentale. Anticipando al 1450 l’opera, si può rendere meglio l’idea della precocità delle invenzioni foppesche, facendolo rientrare nel clima artistico padovano e non ancora in quello mantegnesco. Foppa fu un grande maestro del Rinascimento lombardo, cosa che si può vedere anche grazie agli affreschi della Cappella Portinari (1464 – 1468), presso la chiesa di Sant’Eustorgio, attigua al complesso del Museo Diocesano.

Vincenzo Foppa. I tre crocifissi, Museo Diocesano, corso di Porta Ticinese 95, fino al 2 giugno, orari: mar-dom: 10.00-18.00. La biglietteria chiude alle ore 17.30 Biglietti: martedì: € 4.00, intero: € 8.00 ; ridotto: € 5.00

 

 

LEONARDO E LE MACCHINE RICOSTRUITE

Come faceva Leonardo Da Vinci a progettare le sue macchine volanti? Potevano davvero volare? Che cos’era il famoso Leone Meccanico? Perché non venne mai portato a termine il colossale monumento equestre di Francesco Sforza? Queste sono solo alcune delle domande che potranno avere risposta grazie all’innovativa – e unica nel suo genere – mostra che si è appena aperta in una location d’eccezione: gli Appartamenti del Re nella Galleria Vittorio Emanuele.

Tutto nasce dall’idea di tre studiosi ed esperti, Mario Taddei, Edoardo Zanon e Massimilano Lisa, che hanno saputo mettere insieme e creare un centro studi e ricerca dedicato a Leonardo, alle sue invenzioni e alla sua attività, con risultati sorprendenti sia sul fronte delle esposizioni, sia su quello della divulgazione.

Leonardo3 (L3) è parte di un progetto più ampio, di un innovativo centro di ricerca la cui missione è quella di studiare, interpretare e rendere fruibili al grande pubblico i beni culturali, impiegando metodologie e tecnologie all’avanguardia. Sia i laboratori di ricerca sia tutte le produzioni L3 (modelli fisici e tridimensionali, libri, supporti multimediali, documentari, mostre e musei) sono dedicati all’opera di Leonardo da Vinci. E i risultati sono stati straordinari: L3 ha realizzato il primo prototipo funzionante al mondo dell’Automobile di Leonardo, hanno ricostruito il Grande Nibbio e la Clavi-Viola, il primo modello fisico della Bombarda Multipla, il primo vero modello del Pipistrello Meccanico, il Leone Meccanico e il Cavaliere Robot, oltre a interpretazioni virtuali e fisiche inedite di innumerevoli altre macchine del genio vinciano.

Non solo macchine però. Fondamentali per la riscoperta e la creazione dei prototipi sono stati i tanti codici leonardeschi, tra cui il famoso Codice Atlantico interamente digitalizzato, così come il Codice del Volo, presentato in Alta Definizione, in cui ogni singolo elemento è interattivo. E queste tecnologie diventeranno, in futuro, sempre più utili per studiare manoscritti antichi e fragilissimi, come i diversi Codici e taccuini, già molto rovinati dall’usura e dal passare dei secoli.

Una mostra che divertirà grandi e bambini, che potranno toccare con mano le macchine e i modellini ricostruiti, testarsi sui touch screen per comporre, sezionare o vedere nel dettaglio, tramite le ricostruzioni 3D, i vari pezzi delle macchine di Leonardo, far suonare la Clavi-Viola e costruire, davvero, un mini ponte autoportante.

Una delle ultime sezioni è poi dedicata ai dipinti di Leonardo, su tutti la famosa Ultima Cena. Una ricostruzione digitale e una prospettica permettono di ricostruirne strutture e ambienti, di capirne perché Leonardo “sbagliò” di proposito la prospettiva e di approfondire alcuni dettagli. I modelli sono stati costruiti rispettando rigidamente il progetto originale di Leonardo contenuto nei manoscritti composti da migliaia di pagine, appunti e disegni. Il visitatore avrà anche la possibilità di leggere i testi di Leonardo “invertendo” la sua tipica modalità di scrittura inversa (da destra a sinistra).

L3 si è già fatto conoscere nel mondo, le mostre sono state visitate da centinaia di migliaia di persone in città e Paesi come Torino, Livorno, Vigevano, Tokyo, Chicago, New York, Philadelphia, Qatar, Arabia Saudita e Brasile. Occasione imperdibile.

Leonardo3 – Il Mondo di Leonardo -piazza della Scala, ingresso Galleria Vittorio Emanuele II, fino al 31 luglio, orari: tutti i giorni dalle ore 10:00 alle ore 23:00, biglietti: € 12 intero, € 11 studenti e riduzioni, € 10 gruppi, € 9 bambini e ragazzi, € 6 gruppi scolastici.

 

 

MODIGLIANI, SOUTINE E LA COLLEZIONE NETTER

Di Modigliani si è detto e scritto di tutto. A iniziare dal suo soprannome, Modì, gioco di parole tra il suo cognome e l’espressione peintre maudit, il pittore folle. Si sa della sua dipendenza cronica da alcol e droghe, si sa del suo grande amore, l’eterea Jeanne, si sa della loro tragica fine.

Esponente di rilievo della cosiddetta Scuola di Parigi, Modigliani ha davvero segnato un’epoca, pur nella sua breve esistenza, influenzando artisti e generazioni future. Un artista incompreso, come molti altri all’inizio della carriera, e che potè sopravvivere soprattutto grazie all’aiuto di generosi e lungimiranti mecenati. Dopo Paul Alexandre e Paul Guillaume, entra in gioco un collezionista atipico, schivo e riservato, che aiuterà Modì nei suoi anni più cruciali: Jonas Netter.

Industriale ebreo emigrato a Parigi, Netter negli anni riuscirà a mettere insieme una straordinaria collezione di opere d’arte, più di duemila, scegliendo gli artisti più promettenti e interessanti, affidandosi al suo gusto personale ma anche a quello di un uomo completamente diverso da lui per stile di vita e carattere, Leopold Zborowski. Polacco, arriva a Parigi nel 1914 insieme alla moglie, per tentare la carriera artistica. La ville lumière lo trasformerà invece, a suo dire, in poeta. E in un mercante. Grazie alle conoscenze e alle frequentazioni dei caffè e dei locali di Montparnasse, Zborowski conosce e frequenta gli studi degli artisti più talentuosi, e poveri, che stipendia e compra per Netter, con il quale aveva precisi rapporti commerciali. Un sodalizio lungo più di un decennio, interrotto in brusco modo nel 1929, e che condurrà Netter ad avere 50 dipinti di Modigliani, 86 Soutine e 100 Utrillo.

Ed è proprio Maurice Utrillo, figlio della ex modella e pittrice Suzanne Valadon, a essere stato il grande amore di Netter. In mostra molti paesaggi, declinati nei diversi periodi e momenti della sua vita. La precoce dipendenza di Utrillo dall’alcol non gli ha impedito di lavorare tantissimo, a scopo terapeutico, e di ispirarsi alla pittura impressionista, soprattutto di Pissarro. Netter amava i suoi artisti come dei figli, sostenendoli in ogni modo: pagava stipendi, studi e materiali, pagava anche alcol e cliniche di disintossicazione.

Ma in realtà la collezione è molto variegata. Oltre agli artisti maledetti per eccellenza, Modì e Soutine -con i suoi paesaggi espressionisti e i materici “quarti di bue”- presenta anche fauve come Derain con le fondamentali Grandi bagnanti del 1908, e de Vlaminck; molte opere di Suzanne Valadon, il neoplasticista Helion, Kisling, Kikoine, Kremegne e altri artisti dell’Est- e non solo- scappati da una vita di miseria per approdare a Parigi, città ricca di promesse, di collezionisti e simbolo, con Montmartre, Montparnasse e i loro caffè, di una vita bohemien e ribelle.

Certo non tutto è al livello delle opere di Modigliani, sono presenti anche pittori minori e nomi forse poco conosciuti. Ma d’altra parte la collezione è il frutto del gusto e dell’estetica personale di Netter, che ha saputo riunire tutti quegli artisti, diversi per storia, cultura e Paese, e che hanno segnato la storia dell’arte europea.

Dice il curatore, Marc Restellini: “Questi spiriti tormentati si esprimono in una pittura che si nutre di disperazione. In definitiva, la loro arte non è polacca, bulgara, russa, italiana o francese, ma assolutamente originale; semplicemente, è a Parigi che tutti hanno trovato i mezzi espressivi che meglio traducevano la visione, la sensualità e i sogni propri a ciascuno di loro. Quegli anni corrispondono a un periodo d’emancipazione e di fermento che ha pochi eguali nella storia dell’arte“.

Di Jonas Netter, uomo nell’ombra, oggi non rimane quasi niente, solo un suo ritratto fatto da Moise Kisling e qualche lettera. La sua eredità più grande sono senza dubbio le opere d’arte che oggi, dopo più di settanta anni, tornano a essere esposte insieme per ricreare una delle epoche d’oro della pittura europea.

Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti – Palazzo Reale, fino all’8 Settembre 2013 – Orari: Lunedì: 14-30 – 19.30. Dal martedì alla domenica: 9.30-19.30. Giovedì e sabato: 9.30-22.30 – Costo: Intero 9 euro, ridotto 7,50 euro.

 

 

questa rubrica è a cura di Virginia Colombo

rubriche@arcipelagomilano.org




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