15 maggio 2013

musica


 

MONICA LEONE

La grande critica – o meglio quella dei maggiori quotidiani italiani – non si è ancora accorta di lei, anche se da anni suona con grande successo in Francia, Spagna, Romania, Ungheria, Ucraina, Turchia, Stati Uniti, Venezuela, Brasile, Argentina, Cina, Giappone, Australia, Nuova Zelanda e nelle più grandi sale da concerto italiane. Forse anche questo è segno di un certo provincialismo della nostra critica musicale sempre restìa a uscire dal solco sicuro del già seminato. Ma chi l’ha sentita suonare sabato scorso per Piano City le Variazioni Goldberg, all’ultimo piano di Palazzo Reale nella sala detta “dell’arte povera” del Museo del Novecento, con una sicurezza che trasmette anche a chi siede in platea, forte della sua matura giovinezza (altre volte in sala ci sono i suoi due figli, che insieme non fanno dieci anni) e davanti a un pubblico letteralmente rapito, avrebbe capito che Monica Leone è una magnifica concertista.

La “Aria con diverse variazioni per cembalo a due manuali” (questo il nome originale dell’opera di Johann Sebastian Bach) è un monumento nella storia della musica ma è anche un testo difficilissimo da eseguire, che fa tremare ogni pianista. Sulla sua origine – la cura dell’insonnia, di cui soffriva il conte von Keyserling ambasciatore russo a Dresda, da parte del suo giovane clavicembalista Johann Gottlieb Goldberg allievo del primogenito di Bach – non val la pena tornare, è storia molto conosciuta; ma forse non tutti sanno che le Goldberg erano quasi sconosciute quando diventarono uno dei cavalli di battaglia della mitica Wanda Landowska che le incise – eseguite al clavicembalo – ben due volte, nel 1933 e nel 1946; poi furono eseguite sul pianoforte (dunque su un’unica tastiera, con problemi tecnici che allora si ritenevano irrisolvibili) da Claudio Arrau nel 1942 ma trasferite su disco solo nel 1988, e finalmente sono diventate celebri grazie a quel curioso fenomeno mediatico (i media allora erano la radio e i dischi in vinile!) che fu Glenn Gould. Anch’egli ne incise due versioni, molto diverse fra loro: nel 1954 sul suo famoso pianoforte Steinway CD 318 e nel 1981 su un pianoforte Yamaha. Delle interpretazioni gouldiane non siamo grandi estimatori ma siamo anche consci che questa opinione è molto poco condivisa.

Da allora molti pianisti vi si sono cimentati, molti altri se ne sono tenuti prudentemente alla larga, pochi sono stati capaci di scavare fino in fondo nel significato di quest’opera (uno di questi – lo diciamo perché la cosa è alquanto singolare e ci dice molto sulla universalità della musica di Bach – è stato il jazzista e noto improvvisatore Keith Jarrett che nel 2000 ne incise una magnifica esecuzione al clavicembalo).

Monica Leone ha inciso anch’essa le Goldberg in un CD del 2000, poi le ha eseguite a Milano nell’aula magna della Bocconi una decina di anni fa, e dunque l’avevamo già conosciuta e apprezzata come attenta esegeta di quell’immenso capolavoro. Ma la lettura che ne ha dato in questa occasione ci ha molto sorpreso, ci è sembrata diversa, frutto di una nuova ispirazione, caratterizzata da una compattezza che non avevamo mai inteso prima d’ora: le sue non sono, come spesso capita di ascoltarle, una serie di trenta variazioni da esporre come fossero un campionario di possibili formule compositive (raffinate alchimie contrappuntistiche come i canoni dall’unisono alla nona, la “fughetta”, l’ouverture, una canzone, ecc.), ma il fluire di un’unica, complessa riflessione musicale immersa nel moud dell’inconfondibile Aria in sol maggiore da cui prendono inizio. Scompaiono ad esempio quelle pause che sembrano suggerite dalla matematica – ovvero dallo stesso Bach – e che si usa fare dopo le prime quindici o dopo ogni gruppo di dieci variazioni; la Leone le fa nascere tutte una dall’altra, come succede nella Ciaccona della seconda Partita per violino solo dello stesso Bach o come, cento quarant’anni dopo, farà Brahms nella Passacaglia della sua quarta Sinfonia. In questo modo le Goldberg diventano un’opera molto più poetica che concettuale, perdono quel meccanicismo che talvolta le appesantisce (pensiamo ad esempio alla lettura pur limpidissima che ne dà Andras Schiff), le libera in un volo fantastico immergendole nell’atmosfera un po’ onirica della loro Aria.

Un gran bel concerto, dunque, ma non possiamo fare a meno di osservare come si sia svolto in condizioni proibitive e vorremmo dire anche un po’ scandalose; il pianoforte – un mezza coda Yamaha in questo caso troppo piccolo, sarebbe stato necessario almeno un tre quarti se non un gran coda – non era stato ben accordato e messo a punto, presumibilmente a causa del grande numero di eventi contemporanei programmati da Piano City. Ma la cosa più grave è che quella sala, già penalizzata da una pessima acustica, si affaccia sulla piazzetta reale e che sotto le sue finestre nella stessa ora del concerto veniva provato un mostruoso impianto di amplificazione per lo spettacolo rock che si sarebbe tenuto la sera stessa in piazza del Duomo.

Proprio nel momento in cui Monica Leone si è seduta al pianoforte per concentrarsi sull’attacco dell’Aria, è entrata dalle finestre una spropositata quantità di decibel che ha fatto temere il peggio a tutti i presenti: la rinuncia della concertista o quanto meno una prestazione innervosita e del tutto ingodibile. Abbiamo assistito invece a una sorta di miracolo: una interpretazione tanto avvolgente e pregnante da far dimenticare ogni fastidio e da consentire la totale immersione nell’ascolto di tutte le variazioni fino alla ripetizione dell’Aria, epilogo dal grande potere liberatorio.

Dopo quattro minuti di magico silenzio – che la Leone ha imposto alla fine dell’esecuzione restando assorta con le mani immobili sulla tastiera, come in una sorta di doveroso, quasi sacro raccoglimento – vi è stata una vera e propria ovazione da parte del pubblico grato e commosso, turbato dalla qualità e dalla intimità dell’interpretazione. Una lezione non solo di grande musica, ma anche di professionalità e forza di carattere.

 

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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