1 maggio 2013

I PARTITI HANNO PAURA DELL’UOMO FORTE O DELL’ELETTORE FORTE?


La categoria di “cesarismo”, già utilizzata da Weber e da Gramsci, oggi riproposta da Giuseppe Ucciero non mi pare feconda. Così, resta improbabile la stessa ipotesi conclusiva sul possibile “cesarismo buono”. Il cesarismo non è mai buono. Si tratta di una categoria troppo estensiva e poco intensiva. Alle sue spalle stanno i concetti di “moltitudine” e di “nazionalizzazione delle masse”. Pertanto è dal sistema di quelle categorie che occorre partire. Nella descrizione della sociologia politica degli anni ’20 e ’30 (Max Weber, Schmitt, Gramsci…) e persino della filosofia (Heidegger) “il popolo” e “le masse” sono una forza vitale informe, percorsa da correnti irrazionali e attratta dal magnete di leader carismatici. Oggi si chiamano Berlusconi e Grillo. Ieri Bossi e Di Pietro.

In forza di questa categoria, dentro la crisi odierna presente delle strutture istituzionali democratiche e delle tradizionali forme di mediazione si finisce sempre per intravedere la catastrofe della Repubblica di Weimar. Sono semplicemente convinto che la trasposizione di peso dagli anni ’30 al presente di quelle analisi sia una pura proiezione ideologica, usata dal sistema attuale dei partiti per giustificare una centralità politico-istituzionale che sta evaporando. Gli elettori sono ormai cittadini di una società informata, impegnati nel lavoro e nelle professioni, dotati di “conoscenze di governo”, però disperse in tanti rivoli individuali. A chi toccherebbe raccoglierle? La Costituzione del ’48 assegna ai partiti un duplice compito: selezionare le idee e formare un governo che le realizzi.

Il sistema dei partiti ha praticato il primo compito solo fino alla fine degli anni ’60 o, secondo i più generosi, fino al 1989. I canali della partecipazione si sono ingolfati, perché il flusso della partecipazione si è gonfiato e gli argini sono diventati troppo stretti. Quanto al secondo, i partiti hanno prodotto governi su scala industriale: uno ogni nove mesi dal 1948 e uno ogni diciassette mesi dal 1994. Molti governi, nessun governo reale. Il sistema partitico ha fallito nel rappresentare il Paese e nel governarlo. L’effetto è la costituzione di una società civile anarco-corporativa rissosa, ingiusta, retta dal principio del mercato delle vacche, dove, come recita un vecchio detto milanese, “chi al vusa pu sé, la vaca la sua”! In questo intrico di corporazioni, anche i partiti, e perciò la politica, sono diventati, essi stessi, una corporazione tra le altre, peraltro copiosamente autofinanziata con i soldi pubblici.

Salgono da questa società degli anni duemila due richieste legittime e urgenti: scegliere direttamente il governo del Paese; scegliere direttamente il proprio rappresentante in Parlamento. Solo una forzatura ideologica, inconsapevolmente partito-dipendente, può classificare queste domande come istanze cesariste, plebiscitarie, irrazionali. Si può comprendere, ma non condividere, che in una società, che all’indomani dell’Unità d’Italia arrivava all’85% di analfabeti, il vecchio ceto dirigente liberale praticasse un sistema elettorale severissimo, censitario ed elitario. Poiché, però, gli analfabeti andarono a morire a centinaia di migliaia sul Carso, dopo allora si incominciò ad allargare i cordoni, ma quello del voto femminile solo dal 1946.

Si può comprendere, ma non condividere, che i leninisti pensassero che la coscienza del proletariato fosse spontaneamente tradeunionista – oggi si direbbe corporativa – e che perciò occorreva inoculare dall’esterno la perfetta coscienza di classe, di cui solo il partito comunista era il titolare legittimo e autocertificato. Si può comprendere, ma non condividere, che il pessimismo antropologico cattolico inducesse a una forma di paternalismo protettivo nei confronti degli elettori. Tutti questi vincoli oggi non sono più comprensibili. Informazione e istruzione, benché in Italia di livello più basso rispetto all’Europa, sono ormai “beni comuni”. La “moltitudine” è un’invenzione mistificante della letteratura sociologica, il popolo non è più “popolo bue”.

Dietro “la paura dell’uomo forte”, esibita da partiti, da intellettuali, da mass media sta semplicemente “la paura dell’elettore forte”. Del resto, l’esperienza francese della Quinta Repubblica, transitata traumaticamente, ma non sanguinosamente dalla Quarta, che era minacciata dal parlamentarismo inconcludente del sistema dei partiti e fu impotente di fronte al putschismo di alcuni generali, insegna che dal 1962 la Francia ha potuto godere di un governo democratico e stabile. Il presidenzialismo gollista non si è trasformato in autoritarismo o in fascismo. D’altronde, i sondaggi più recenti segnalano che ormai il 60% degli italiani è favorevole al presidenzialismo.

All’elettore che si reca alle urne, saranno consegnate due schede: una con il nome del candidato Presidente dello Stato/Capo dello stato (se all’americana) o solo con il nome del Presidente (se alla francese); l’altra scheda recherà il nome del candidato deputato del Collegio uninominale. Sistema elettorale? Doppio turno alla francese, con sbarramento sopra il 10% per il passaggio al secondo turno. E il Parlamento? Invece di produrre migliaia di leggi, che sottoproducono amministrazione, impiegati pubblici e spesa, si dedicherà a controllare le leggi e l’azione del governo. Il paradiso terrestre? No, solo una democrazia normale, cioè rappresentante e governante.

 

Giovanni Cominelli

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti