1 maggio 2013

MILANO E IL LAVORO A QUATTRO DIMENSIONI


Nella Milano che produce, il lavoro ha ormai assunto quattro dimensioni. E il Primo Maggio più che mai, val la pena passarle in rassegna.

Passato – È quello di chi ha perso il lavoro di cui viveva. O ha perso la vita lavorando. La prima categoria è conteggiata dall’Istat nel tasso di disoccupazione della provincia di Milano. Tra la popolazione in età lavorativa (15-64 anni), l’indice è oscillato intorno al 4% tra il 2004 e il 2008, per poi aumentare gradualmente fino a raddoppiare l’anno scorso, senza particolari differenze tra i sessi. Un trend simile si ha tra i giovani di età compresa fra i 15 e i 29 anni. Ma nel loro caso, alla penalizzazione della congiuntura si associa anche un mercato del lavoro strutturalmente più ostile: se negli anni relativamente “buoni” (2004-2008) il tasso di disoccupazione è stato doppio rispetto alla popolazione tra i 15 e i 64 anni, fra il 2009 e il 2012 l’indice è raddoppiato ancora, arrivando a toccare il 17%, a danno soprattutto delle giovani donne.

Talvolta lavorare stronca, parafrasando Cesare Pavese. La conta di chi ha perso la vita a seguito di infortuni mortali sul lavoro è tenuta dall’Osservatorio per la Sicurezza sul Lavoro di Vega Engineering, società di consulenza e di progettazione ingegneristica operante nei campi della sicurezza sul lavoro, dell’ambiente e dell’energia. Che ha stilato una graduatoria delle province in base al numero di infortuni mortali notificati all’Inps. Che vede Milano sempre agli ultimi posti nel triennio 2010-2011-2012: rispettivamente 91ma/97, 101ma/105 e 98ma/99. Un ottimo risultato non riconducibile al calo dei posti di lavoro: l’indice di incidenza degli infortuni mortali (rapporto tra il numero di vittime di infortuni mortali e gli occupati dalla provincia) è infatti in netto calo da 8,6 a 2,8.

Presente – È quello dei milanesi che lavorano. L’Istat li raggruppa nel tasso di occupazione. Il suo trend è stabile per la popolazione in età lavorativa: fra il 2004 e il 2012, viaggia sempre attorno al 66%. Ma si notano pesanti discrepanze tra i due sessi: se gli uomini hanno sofferto maggiormente la Grande Recessione (con un indice sceso dal 76% al 72% tra il 2009 e il 2012), le donne sembrano lavorare nonostante tutto, con un tasso pressoché stabile tra il 58 e il 61% prima e dopo la crisi. Ma per i giovani è tutta un’altra storia: il loro tasso di occupazione è in caduta libera a prescindere dal manifestarsi della crisi: dal 53% del 2004 al 41% del 2012, dannneggiando soprattutto le donne.

Futuro – Il lavoro che verrà è descritto da Unioncamere grazie all’indagine del Sistema Informativo Excelsior sui programmi occupazionali delle imprese. L’ultima versione disponibile riguarda il primo trimestre del 2013. Si prevedono il 54% di tutte le opportunità di lavoro della provincia di Milano, il 26% delle quali riguarderanno i giovani. Nel 67% dei casi si richiederà esperienza lavorativa nel settore. La maggior parte delle assunzioni riguarderà i lavoratori dipendenti, che però saranno anche i più penalizzati, con un saldo tra assunzioni e licenziamenti negativo pari a 1800. Milano si conferma la città delle assunzioni con saldo occupazionale positivo pari a 5.100. I contratti di lavoro più gettonati saranno quelli a tempo determinato, mentre solo il 44% sarà a tempo indeterminato.

Tra passato e futuro – Sospesa tra questi due tempi si trova un esercito che non milita nella forza lavoro. Sono gli inattivi: coloro che non hanno un lavoro e neppure lo cercano. In bilico tra il loro passato nel mercato del lavoro (che li ha delusi, scoraggiati, lasciati ai margini o semplicemente non è più conciliabile con la loro vita privata) e il futuro (gli studenti che si affacceranno al mondo del lavoro dopo gli studi). I dati provinciali dell’Istat purtroppo non fanno luce sui motivi del fenomeno, ma si limitano a fotografarlo. Per la popolazione in età lavorativa, il tasso di inattività è in calo costante dal 2004 al 2012, sia per gli uomini, sia per le donne. Nel caso dei giovani dai 15 ai 29 anni, assistiamo invece a un aumento dal 41 al 50%, dovuto soprattutto ai ragazzi, che compensano il calo delle ragazze inattive.

Le quattro dimensioni della Milano che lavora evidenziano problemi del mercato del lavoro replicati a livello nazionale. Donne e giovani ai margini del mercato del lavoro, nei panni di disoccupati o peggio ancora, inattivi. Secondo l’Economist, la penalizzazione dei giovani non è dovuta solo alla recessione che comprime la domanda di lavoro, ma anche al fatto che è più semplice smettere di assumere i junior che licenziare i senior (“Generation Jobless“, The Economist, 27 aprile 2012). Che avverte infine sui rischi per la quiete pubblica dovuti alla sofferenza occupazionale: il nesso tra criminalità e disoccupazione giovanile è ormai accertato da lungo tempo (Britt, 1994; Carmichael e Ward, 2000; Narayan e Smyth, 2004). Senza contare i punti di Pil persi per la mancata valorizzazione di giovani e donne. Uno spreco a quattro dimensioni.

 

Valentina Magri



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