24 aprile 2013

DA UFFICI A CASE: L’UOVO DI COLOMBO STARÀ IN PIEDI?


Se la proposta dell’assessore De Cesaris avrà un seguito operativo, tra poco a Milano sarà forse possibile aumentare l’offerta di abitazioni a basso costo con investimenti relativamente modesti, senza consumare risorse pubbliche per la creazione dei relativi servizi e infrastrutture, e senza aumentare il consumo del suolo. Questo “miracolo” potrebbe avvenire grazie alla trasformazione in abitazioni dei numerosi edifici per uffici vuoti che costellano la città e le sue periferie. L’idea è semplice ed efficace come l’uovo di Colombo. Però parliamo di “miracolo” perché le condizioni indispensabili affinché ciò avvenga sono molte, e gli ostacoli da superare sono notevoli.

Il problema non è né la domanda né l’offerta potenziale. Da un lato perdura la carenza di abitazioni economiche, che ad esempio consentano ai giovani di formare una famiglia quando è giusto farlo, dall’altro l’offerta di spazio per uffici è esuberante, sicché molti edifici di questo tipo rimangono vuoti o semivuoti per lungo tempo. La contrazione congiunturale dell’occupazione ha influito su ciò, ma non basta: siamo di fronte a un calo fisiologico della domanda di spazi per il terziario iniziato due decenni fa, innescato dallo sviluppo delle nuove tecnologie informatiche e dalla diversa organizzazione del lavoro che ne è conseguita.

Oggi possiamo stimare che nel mondo l’offerta di edilizia terziaria superi di almeno il 10% il tasso fisiologico, e tale forbice è probabilmente ancora maggiore a Milano, dove l’illusione del progresso infinito si è coniugata con la lentezza dei processi insediativi, lasciandola farcita di palazzi vuoti e di cantieri spettrali. Ma il surplus anomalo è anche causato dal lassismo verso la logica speculativa, che nei decenni passati ha consentito la realizzazione di complessi per uffici di bassa qualità e in zone malservite. La prima critica che le agenzie immobiliari specializzate nel terziario muovono all’edilizia per uffici milanese infatti è proprio la scarsa qualità dell’offerta.

L’ostacolo burocratico alla trasformazione d’uso non dovrà essere un problema, visto che è destinato ad abbassarsi da noi come in molti paesi, proprio per consentire un migliore sfruttamento del patrimonio edilizio esistente. Recentissimo è il caso del Regno Unito dove per il suo indiscusso interesse nazionale la possibilità di convertire uffici in abitazioni sarà presto garantita in tutto il paese, almeno in via sperimentale e per un periodo di tre anni.

Resta il dubbio sull’attitudine o meno di questi edifici a essere trasformati in residenze. Quali e quante modifiche sarebbero necessarie, considerando non solo i servizi ma anche le differenze di standard richieste (basti pensare al rapporto aeroilluminante, o ai diversi standard urbanistici)? È vero che “il mattone più ecologico che c’è è quello che sta già in un muro”, e dal punto di vista del consumo di risorse comunque ristrutturare è meglio che demolire e ricostruire, però l’ubicazione o la conformazione di un certo edificio per uffici può non essere idonea alla trasformazione in uso residenziale.

Ma se anche solo un decimo degli edifici per uffici sottoutilizzati o vuoti fosse disponibile e convertibile si potrebbero ricavare centinaia di appartamenti. Certo, occorrerà lavorare prima su alcuni casi pilota, e farlo con fantasia: ad esempio le facciate in vetro sembrano poco adatte alla residenza, ma perché non trasformarle in una facciata-serra, arretrando la parete perimetrale e creando così un sistema a recupero di calore?

Il vero problema però sarà un altro. Sta nell’opacità degli interessi che legano le imprese immobiliari al capitalismo finanziario, visto che nel mondo dell’alta finanza il confine tra il lecito e l’illecito è molto poroso, soprattutto quando per decenni si è pescato nel Pozzo di San Patrizio delle rendite di posizione. Svendere un palazzo per uffici poco commerciabile, o prendersi carico della sua conversione in residenza, consentirebbe al proprietario di fare comunque cassa, ma dovrebbe chiedere ancora soldi accettando nel contempo di ridurre al rustico il valore dell’asset sul quale ha continuato a essere finanziato, mettendo in crisi se stesso, ma anche chi l’ha finanziato sopravvalutando i beni messi a garanzia, come spesso accade.

In questa situazione, con risorse finanziarie pubbliche e private sempre più ridotte, se si riuscirà a mettere in atto questa politica di riequilibrio del patrimonio immobiliare sarà, appunto, un miracolo. Se il miracolo non avverrà, troveremo una nuova conferma del fatto che ciò che si potrebbe benissimo fare nell’economia reale semplicemente rispettando le regole del mercato, non si può fare perché il capitalismo finanziario il mercato l’ha manipolato e distorto. Per far stare in piedi l’uovo di Colombo bisogna rompergli il guscio, ma in questo caso il guscio sembra essere maledettamente duro.

 

Giorgio Origlia

 



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