24 aprile 2013

MILANO SMART: ASPETTANDO IL SINDACO


Ricondurrei la questione di Milano smart a tre ambiti: questioni di governance o del ruolo del pubblico a fronte della dimensione cibernetica; questioni di produzione e gestione della ricchezza, ossia il contributo di Milano a una riconversione economica guidata dalla regola del decoupling; questioni di reti, riconducibili al flusso di relazioni in cui si inserisce lo spazio della megalopoli lombarda.

Questioni di governance. È evidente la dicotomia tra un sistema di governo, gestito secondo lo storico modello dei club, basato sulla rappresentanza passiva degli eletti, che operano “in discreto” con tempi lunghi, e il comportamento sempre più ‘smart‘ dei cittadini, paragonabili secondo Toyo Ito a tanti “Tarzan in the media forest” che, grazie alla pelle ricoperta da bit, operano scelte in tempo reale, con logiche di flusso, organizzati secondo il modello instabile dello sciame.

Entrambe queste entità, il governo e i cittadini, sono sovrastate dalla “nuvola”, ossia da un nucleo di grandi imprese (ne ricordo alcune: General Electric per la fornitura di hardware e per internet industriale, IBM per Smarter city, Siemens – ABB – Eriksson per le nuove infrastrutture, Microsoft – Google – CORSERA – MIT per i nuovi modelli di istruzione,…..) che organizzano la memoria cibernetica. Esse propongono un’offerta integrata (dagli apparati industriali fino ai sistemi organizzativi-gestionali) per la gestione smart della città e di alcune sue funzioni chiave (fra cui: istruzione, sanità, energia, sicurezza) grazie all’utilizzo di strumenti di intelligenza aumentata.

Semplificando, queste imprese sostengono che con i loro strumenti e servizi le città hanno: a) modelli di governo più affidabili rispetto a quelli tradizionali, perché i moderni modelli complessi di governo, che operano per feedback, possono funzionare solo grazie alla cibernetica; b) più democrazia, grazie alla possibilità di iperscelte e alla reale interattività dei processi; c) una più alta qualità, grazie al livello dei contributi che circolano sulla rete; d) minori costi, per il basso costo unitario di servizi le cui economie di scala sono misurabili a livello globale.

Le argomentazioni delle imprese cibernetiche sono robuste, dal punto di vista tecnologico e della valutazione economica di breve momento, ma la gestione sociale dell’innovazione non è né semplice né lineare, e non può essere ridotta a un problema di costi marginali. Dalla sinergia fra i due momenti, tecnico economico e sociale, dipende infatti la capacità di innovare il nostro modello di democrazia. In questa dimensione Milano è la metropoli italiana deputata, per la dimensione della massa critica del suo capitale umano, a essere di guida alla rigenerazione nazionale, nei suoi aspetti sociali, economici e di rigenerazione della città.

La questione centrale, quindi, è la visione politica: oggi il cittadino della megalopoli lombarda è confuso, avverte l’insufficienza del modello gestionale dell’amministrazione, l’offerta delle imprese cibernetiche è qui poco organica, non gli rimane che giocare coi social net, povero Tarzan con una casa comune sempre più obsoleta.

È un disagio che viene da lontano, con il deficit interpretativo del paradigma della sostenibilità e la prima esperienza di governance basata sulla gestione “di flussi” costituita dall’elaborazione delle Agende 21 locali. Qualcuno ricorda la faticosa esperienza milanese in questo campo (governava Formentini) e l’impreparazione culturale degli stakeholder a gestire propositivamente un tavolo comune (con la meritevole eccezione della Caritas). Ancora lì siamo, con la delega smart data a un assessorato, in una visione funzionale dello sviluppo della città, in continuità con il mito ottocentesco della città elettrica.

Ma il cittadino vuole essere rassicurato sulla strategia e partecipare attivamente al rinnovo dell’idea di democrazia, aspetta la leadership del sindaco, una sua convincente spiegazione sui vantaggi che l’intelligenza accresciuta apporta all’idea di cittadinanza, sulla crescita di capacità e opportunità grazie ai nuovi strumenti, su come la storica idea di accoglienza lombarda uscirà rafforzata grazie alla nuova dimensione smart. Il cittadino lombardo, una volta coinvolto nel disegno strategico, chiede che finalmente anche il Comune di Milano si doti di software open source, quindi gratuiti, che gli permettano di interagire creativamente con la pubblica amministrazione.

La Pubblica Amministrazione si dia una botta di contemporaneità, si doti di un flusso programmatorio adeguato (piano per la resilienza, per contrastare il cambiamento climatico, per la green economy,…), permetta ai cittadini di interagire: questa è la smart city alla nostra portata ed è auspicabile che il Sindaco aggiorni in questa direzione la sua agenda.

Questioni di produzione e gestione della ricchezza. Legata alla dimensione smart è la questione centrale del nuovo produrre. Su questo argomento si può sostenere che, malgrado la tradizione industriale e industriosa della nostra metropoli, malgrado il suo sistema articolato della ricerca e dell’erogazione del sapere, mai messaggio sia stato tanto ignorato quanto quello di innovare il modo di pensare la produzione, materializzatosi attraverso l’invito (un po’ perentorio) dell’UE ad allinearsi alla regola del decoupling. E questo penso sia uno dei fattori che più hanno contribuito e contribuiscono al declino della nazione e della metropoli.

Ma il decoupling (aumentare la produttività dei fattori diminuendo il consumo delle risorse naturali) è un obiettivo fondamentale della città smart, capace di proporre: a) nuovi ruoli “economicamente attivi” per la fruizione delle risorse naturali, in quanto produttrici di beni e di servizi essenziali, in una visione che ci allineerebbe alla convenzione Millennium; b) una città tendenzialmente autosufficiente, o comunque meno dipendente, per quanto riguarda la produzione alimentare ed energetica, aumentando nel contempo la biodiversità; c) nuove frontiere occupazionali legate alla green economy e alla creatività come fattore generatore dello sviluppo.

Una conferenza sul tema dell’innovazione nel produrre sembra essenziale per una sferzata di ripensamento creativo sul tema strategico del nuovo modo di produrre metropolitano.

Questioni di reti. La dimensione smart della città implica alcune innovazioni infrastrutturali. La prima, ovvia, richiede che le sue attività e i suoi centri di interesse siano dotati di memoria accresciuta e sappiano distribuire socialmente questa memoria. Su questa infrastruttura si basa la rivoluzione cibernetica urbana, ossia dell’organizzazione della città in data base, o piattaforme, che permettono la distribuzione gratuita o a basso prezzo di servizi.

Un’innovazione che parte dalla scuola, coinvolge la fabbrica e rivoluziona l’erogazione dei servizi, anche di quelli civici. Il risultato è ad esempio la rivoluzione in corso nell’erogazione del sapere, per ora limitata al long life learning, ma ormai aperta a tutti i gradi di insegnamento. Infatti, con l’avvento della cibernetica nel campo dell’istruzione si affacciano nuovi interlocutori (quelli già citati all’inizio: IBM, Microsoft, Google,….); quelli storici, come le università, si riorganizzano in piattaforme ‘ampie’ (alcune intercontinentali) e tutti offrono gratuitamente corsi interattivi a livello di master.

Urge un inventario delle nostre “memorie metropolitane”, del loro grado di interconnessione e di pervasività; senza un bilancio dell’organizzazione dell’intelligenza cyber della metropoli non si può parlare di smart city.

La seconda implica che i data base, o piattaforme, siano connessi in rete, ossia siano strumenti per un dialogo interattivo con il mondo. È questa una sfida per permettere alla metropoli lombarda di uscire dal torpore del suo declino post-industriale e chiedersi in quale direzione investire il suo rilevante ruolo di metropoli guida. È un invito a non vedere la smart city come strumento di rafforzamento locale, nella direzione tradizionale dell’investimento urbano a servizio delle posizioni di rendita (oggi insostenibili a causa della recessione) ma di reinventare lo storico ruolo di Milano esportatrice di fondaci.

Un approfondito documento della municipalità sulle tappe o fondaci con cui la nostra metropoli agevolerà la costruzione di nuove relazioni euro-asiatiche sarà la miglior ricetta per uscire dalla recessione e un omaggio all’intelligenza ‘smart’ dei cittadini lombardi.

In fondo il mondo sta aspettando una nuova “smart lombard street”.

 

Giuseppe Longhi

 



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