24 aprile 2013

libri – ELIMINAZIONI DI MASSA


ALBERTO SALZA ELENA BISSACA

ELIMINAZIONI DI MASSA.

Tattiche di controgenocidio

illustrazioni di Victoria Musci,

Sperling & Kupfer, 2012,

pp. 497, € 18,50

libri_15Il “profittatore” è una figura tipica nelle eliminazioni di massa. Senza intervenire direttamente continua a fare i propri affari e, “business as usual”, si limita a sfruttare la situazione, convinto di non essere in qualche modo complice dello sterminio. E non dobbiamo ritenere che il profittatore sia distante da noi. Si aggira tra di noi, anzi può essere in noi. Agghiacciante è il dubbio che ci insinuano gli autori di questo libro, sanamente provocatorio e fuori dal coro, ricordandoci una vicenda tragica e non ancora conclusa, a noi pressoché sconosciuta e sostanzialmente ignorata dai nostri eurocentrici mass-media: “Tutti hanno il telefono cellulare. All’interno c’è il coltan, minerale strategico che ha causato il genocidio in Rwanda e la guerra mondiale d’Africa in Congo”. Guerra che “dal 1998 […] ha causato oltre quattro milioni di morti”.

Il profittatore è uno dei ventun personaggi che si aggirano sulla scena delle grandi eliminazioni di massa. Dal perpetratore al collaborazionista, dall’ignorante all’indifferente, dall’incerto all’interventista, dal pietoso al negoziatore, e così via, non escludendo gli ormai onnipresenti social network. La scena è sempre stata affollata, nella Shoah come nel Rwanda, in Armenia come in Bosnia, nella Namibia degli herero come nel Darfur. Il catalogo di queste figure costituisce la parte centrale del libro con cui Alberto Salza, in collaborazione con Elena Bissaca e Victoria Musci, conclude il suo viaggio attraverso la disumanità, iniziato nel 2009 con Niente. Come si vive quando manca tutto. Antropologia della povertà estrema e proseguito nel 2010 con Bambini Perduti. Quando i piccoli non hanno bisogno dei grandi. Storie della parte migliore del genere umano.

Salza, antropologo freelance, ha alle spalle decenni di missioni sul campo che, in varie aree del mondo e in particolare in Africa, gli hanno permesso di conoscere in profondità le culture delle popolazioni e di coglierne con acutezza le dinamiche e le tensioni rispetto ai meccanismi della modernità. E l’aver dedicato negli ultimi anni la sua esperienza a monitorare, per conto di ONG e Organizzazioni Internazionali, situazioni di crisi in Africa lo ha portato a interrogarsi sul “che fare?” per prevenire, impedire e contrastare le eliminazioni di massa che, da sempre presenti nella storia umana, hanno raggiunto livelli sconvolgenti di “efficienza” proprio nella nostra epoca.

Questo carattere “militante”, dichiarato apertamente nel sottotitolo “Tattiche di controgenocidio”, fa sì che l’indagine qui sviluppata nel libro si ponga i seguenti obiettivi:

– pro-vocare il lettore a scavare in se stesso e nella società, a non aver paura di usare l’empatia per entrare nella mente dello sterminatore, e per capire fino in fondo il ruolo che nello sterminio hanno tutte le figure, anche chi crede di esserne incolpevole spettatore, per individuare i germi genocidari nella quotidianità e da ciò attivare gli specifici “anticorpi”;

– fornire gli strumenti interpretativi che rendano “visibili” “modalità e attori delle eliminazioni di massa prima dei genocidi”, in modo da “identificarli e agire di conseguenza”. Le modalità, in particolare, possono non apparire evidenti: non necessariamente le “eliminazioni di massa” si presentano come eliminazioni fisiche, ma spesso assumono un carattere culturale e sociale. Tale è l’annientamento socio-economico che la crisi fa incombere sui nostri giovani e sul nostro futuro – ci suggeriscono gli autori, con una lettura davvero sconvolgente.

– proporre una sorta di manuale, con linee-guida e istruzioni comportamentali da porre in atto da soli e/o con gli altri, senza attendere che l’ennesima tragedia annunciata diventi realtà conclamata. “Solo così lo spettatore passivo” avendo rotto la spirale dell’apatia “può trasformarsi in soccorritore e interrompere la spirale di odio generata dal disprezzo”.

Nella messa a punto di questa strategia di “controgenocidio” è fondamentale per gli autori “non pensare al genocidio come a un’anomalia della storia” ed essere convinti del fatto che “un genocidio si può prevedere, a patto di prevenirlo e capirlo”. Per cui, il giorno in cui questa tragica eventualità si realizzasse, nessuno di noi potrebbe chiamarsi fuori da ogni responsabilità. Il nostro “per chi suona la campana” deve quindi tradursi già oggi, nella vita di tutti i giorni, in un atteggiamento lucido e continuo di lotta contro tutte le forme di disprezzo, di esclusione, di sopraffazione, anche le più insignificanti. Occorre aprire gli occhi e addestrarsi a leggere i segnali della cultura genocidaria. Una cultura di cui è già partecipe il tifoso che inneggia alla distruzione della squadra avversaria – basti pensare che nella guerra civile jugoslava gli ultras dello Stella Rossa di Belgrado furono il nucleo fondativo delle famigerate “Tigri” di Arkan – come pure il bullo che umilia il compagno di scuola.

Per dare maggiore sostanza a questo approccio empatico, una narrazione – a tratti metafora e a tratti koan – accompagna capitolo per capitolo le argomentazioni degli autori. Il teatro è una spiaggia, che l’incertezza dei confini, continuamente variati dal mutevole gioco delle onde, promuove a simbolo di quella zona grigia in cui sfumano i contorni etici, le responsabilità, le consapevolezze dell’agire umano. La metafora del genocidio è la mattanza dei granchi, milioni di granchi confinati in questa vera e propria “zona del Male”. Una mattanza che procede inesorabile mentre sulla scena si avvicendano esecutori e spettatori, alcuni esplicitamente complici, altri opportunisti, altri ancora distratti, ma in ogni caso tutti partecipi del male incommensurabile che vi si sta consumando. (Marco Di Marco)

 

questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero

rubriche@arcipelagomilano.org



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