17 aprile 2013

LOMBARDIA, LEGGE 12: UN ATTACCO ALLA LIBERTÀ DI CULTO


In Lombardia è più facile aprire una birreria che un locale di culto. Nel primo caso, infatti, basta affittare un locale, verificare che sia a norma e – se non è stato costruito e accatastato come “esercizio commerciale” – chiedere il cambio di “destinazione d’uso”. La legge regionale n. 12 del 2005 per il “governo del territorio” lo consente senza particolari vincoli.

Ma se invece che installare un bancone e mescere birra si vuole aprire una chiesa, una moschea o un qualsiasi altro locale di culto, la norma regionale impone di chiedere la “licenza edilizia”, come per un nuovo fabbricato. E tutto questo in virtù di un comma della legge regionale sul “governo del territorio” (12/ 2005) approvato nel 2006: la norma “taglia minareti” come era stata frettolosamente e riduttivamente definita. Poche righe che, impedendo il cambio di “destinazione d’uso” per un locale che si voglia adibire al culto, finiscono per precludere la possibilità di aprire chiese, centri di preghiera, templi di meditazione a comunità che non abbiano la forza economica e organizzativa per erigere una nuova costruzione. Ma anche in questo caso si frapporrebbero dei problemi perché – e non solo in Lombardia – la costruzione di un edificio di culto è comunque vincolata alla disponibilità di aree adibite a questo specifico scopo.

Insomma, per godere di uno dei diritti fondamentali della nostra Costituzione – “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto” (art. 19) – occorre superare una serie di ostacoli normativi aggravati dalla clausola della legge lombarda sul governo del territorio che impedisce la “conversione” a uso di culto di locali costruiti con altre finalità. A pagare il prezzo più alto a questa norma sono state comunità “etniche”, composte cioè da immigrati che si erano dotati di strutture per celebrare il loro culto: alcune di esse, nella periferia di Bergamo, avevano rilevato una vecchia officina e l’avevano trasformata in parte in un centro islamico e in parte in “chiese” gestite da vari gruppi. Chiuse a ottobre del 2011.

Ad Azzano San Paolo, sempre in provincia di Bergamo, nell’ultimo anno e mezzo sono state chiuse tre comunità evangeliche: la Chiesa cristiana evangelica Ministeri Maranatha, la Trinity Baptist Church e la Secret Action Church. Ma il caso più clamoroso è avvenuto a Gorle dove l’amministrazione comunale, oltre a chiudere il locale di culto della Chiesa pentecostale nigeriana Christ peace and love, ha provato a ordinarne la confisca per “abusi edilizi”. Pronto lo stop del TAR di Brescia che alla vigilia di Pasqua, pur senza entrare nel merito della questione, ha giudicato illegittima la sanzione comunale. E se grazie a questo provvedimento la comunità ha scongiurato una perdita economica consistente, non ha però risolto il problema del luogo nel quale celebrare il culto.

Il problema si pone anche a Milano dove però la Giunta Pisapia, preso atto del problema, ha tentato una strada diversa: valorizzando l’esperienza del Forum delle religioni che da anni raccoglie rappresentanti di diverse confessioni religiose impegnate nel dialogo per la pace, la reciproca conoscenza e la convivenza, l’Amministrazione ha costituito un “albo” delle comunità religiose con l’intento esplicito di aprire un “tavolo” nel quale affrontare anche il problema dei luoghi di culto. Nell’agosto del 2012, l’ex vicesindaco Maria Grazia Guida era arrivata a parlare di “un sistema di centri di culto di quartiere entro l’anno”: il termine non è ancora scaduto, e comunque il confronto tra istituzioni locali e comunità di fede procede attorno a un tavolo paritetico piuttosto che nelle aule dei tribunali.

La maggiore criticità è determinata dal fatto che, permanendo le restrizioni e le preclusioni determinate dalle legge religione sul “governo del territorio” e in assenza di una legge generale sulla libertà religiosa, le “buone pratiche” locali non sono risolutive. Da qui l’azione di varie espressioni della società civile e, in particolare, della Federazione delle chiese evangeliche che in un convegno svoltosi proprio a Milano lo scorso 22 marzo ha ribadito l’urgenza di abrogare le norme regionali che negano la libertà di culto di intere comunità di fede; con l’aggravante odiosa che, essendo queste ultime spesso composte da immigrati, si finisce per colpire chi è più debole e ha meno strumenti per affermare i propri diritti.

Ma la particolare vicenda lombarda denuncia un altro problema, più generale. Negli ultimi decenni il panorama religioso italiano è cambiato drasticamente e, salvo per le confessioni religiose che dispongono di un’intesa, l’intera questione della libertà religiosa continua a essere governata con il ferrovecchio delle norme fasciste sui “Culti ammessi”, del 1929 e del 1930. La data di quei provvedimenti ne denuncia lo spirito e l’intenzione politica, incompatibile con le esigenze del nuovo pluralismo religioso. Da qui l’urgenza, più volte ribadita dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia, di una legge generale che aggiorni quelle norme obsolete e illiberali. Nel nuovo Parlamento maiora premunt e soprattutto non è dato sapere quanto durerà questa legislatura. Ma il tema è di quelli che decidono della civiltà giuridica di un Paese.

 

Paolo Naso*

 

*politologo alla Sapienza – Università di Roma e coordinatore della Commissione studi della Federazione delle chiese evangeliche in Italia



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